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Terre di mezzo

venerdì 1 luglio 2011

Quella che ci ha portati nella zona tra Umbria e Toscana è una visita che richiede almeno quattro giorni: luoghi che, seppure visitati più volte nella vita, anche a distanza di anni riescono ancora a meravigliare. Stiamo parlando delle “terre di mezzo”, quel prezioso scrigno del nostro paese in cui è concentrato il maggior numero di opere d’arte, borghi medioevali, castelli, torri e pievi.

VedutaL’Umbria, intesa nei suoi attuali confini amministrativi, è una creazione otto-novecentesca. Il suo aspetto nel corso dei secoli fu infatti ben diverso, di volta in volta riunendo insieme luoghi con storie e culture assai differenti e disomogenee tra di loro. È proprio grazie a questa complessità che il patrimonio storico-artistico della regione è così straordinariamente variegato e, allo stesso tempo, privo di battute d’arresto dall’antichità etrusco-romana fino all’epoca moderna. E tutto questo è consegnato ad una campagna con colori e con verdi quinte collinose da mozzarci il fiato.

Questi borghi, e alcuni sono fra i più belli d’Italia, hanno come caratteristica comune la cinta muraria con le relative porte che, appena oltrepassate, ci fanno entrare direttamente nella storia. L’impianto medioevale si è adagiato sulle stratificazioni avvenute nel corso dei secoli senza tuttavia alterarne più di tanto l’assetto dell’intero agglomerato urbano ed architettonico, consegnando così a noi meraviglie rimaste immutate nel corso dei secoli.

Abbiamo trovato un arredo urbano perfetto in ogni borgo visitato. Fermiamoci un attimo, prendiamoci il tempo necessario per una breve riflessione: in migliaia di piazze italiane una scena si ripete ogni mattina, quella di bere un buon caffè e potere contemplare la facciata di un duomo. Ci riduciamo invece a ingollare un caffè senza assaporare almeno con uno sguardo tutta l’arte, la storia che ci circondano. Come la vogliamo chiamare? Fretta, fretta di cosa e per cosa? Invece questa è la quintessenza della qualità della vita. O avete qualche altra idea?

Noi italiani ci siamo naturalmente abituati a  convivere con l’arte che ci circonda da millenni tanto da far dire che “nella maggior parte dell’Italia è una cosa innata come respirare” perché “gli dei hanno rovesciato sull’Italia il loro cesto di doni” (Frances Mayes): dovremmo invece dedicare una parte più importante alla loro valorizzazione, conservazione, restauro e, soprattutto, alla loro scoperta.

Prima di iniziare il racconto del viaggio, precisiamo che, allo scopo di non abusare della Vostra attenzione, lo divideremo in due “puntate”: questa è la prima, la seconda, come ci hanno insegnato i maghi della comunicazione radiotelevisiva (sic!) tra una settimana.

Ed ora andiamo a …

MONTEPULCIANO

Montepulciano Palazzo ComunaleIl nostro itinerario comincia da Montepulciano, costruito su una stretta cresta di calcare a 605 metri sul livello del mare; è circondato da una cinta muraria e da fortificazioni progettate nel 1500 per ordine di Cosimo I. Il centro urbano si sviluppa lungo un corso, su cui si affacciano l’imponenza dei palazzi rinascimentali e l’elegante bellezza delle sue chiese, corso che, salendo lungo la collina, raggiunge, alla sua sommità, la piazza centrale, Piazza Grande.

A Montepulciano abbiamo alloggiato, per nostra scelta, fuori dell’abitato poco oltre il Tempio di San Biagio, attratti dal nome “Il Girasole”, lontani giusto quel centinaio di metri dalla strada, che ci ha permesso di apprezzare il “rumore”, o meglio l’anima, del silenzio, il cielo notturno ammantato di stelle come ormai da noi non è più possibile vedere e beneficiati da una visita fuori programma: una frotta di lucciole illuminava la notte.

Partendo dalla parte bassa della città, per la trecentesca porta di Gracciano entriamo nel centro storico e ci accompagnano tutta una serie di vestigia due-trecentesche fino in Via del Poliziano con la trecentesca casa del Poeta al numero 5. Più oltre, dalla via Collazzi si scopre, in basso, lo stupendo Tempio di S. Biagio; la strada di destra è la Via San Donato, che costeggiando la Fortezza, sale verso Piazza Grande, il centro monumentale della città.

Palazzo del Capitano; Il Pozzo dei Grifi e dei LeoniSiamo arrivati così nella parte più alta di Montepulciano. Il primo edificio che colpisce la nostra attenzione  è sicuramente il Palazzo comunale. La sua costruzione, iniziata nella seconda metà del 1300, si è protratta sino alla metà del 1400; rivestito in travertino, è di gusto fiorentino sia nell’impianto generale della facciata sia nei dettagli ed ha una notevole somiglianza con Palazzo Vecchio di Firenze.

All’interno, attraverso il portale, si apre un cortile con due belle logge e dalla torre si abbraccia uno dei più bei panorami dell’intero territorio.

Sempre nella piazza troviamo, di fronte al Pozzo dei Grifi e dei Leoni, il Palazzo del Capitano del Popolo, uno degli esempi di arte gotica rimasti a Montepulciano; più oltre, il Palazzo Tarugi e il Palazzo Contucci e infine il Duomo, al cui interno si trova il trittico del senese Taddeo di Bartolo

CASTIGLIONE DEL LAGO

Si arriva a Castiglione del Lago da un rettilineo che offre un notevole colpo d’occhio sul borgo antico, posto nella parte alta dell’abitato (“una rocca su un velo d’argento”). Una scalinata e l’ottocentesca porta senese ci introducono nel paese cinto da un esteso perimetro murario.

Il nome della località deriva dalla fortezza medievale chiamata “Castello del Leone” per la sua forma pentagonale. Attraverso vicende storiche diventerà Palazzo della Corgna, dal nome del cognato (in altre fonti nipote) del papa Giulio III, e verrà ristrutturato a metà del 1500 per ospitare la corte dei Marchesi; ora è sede del Municipio.

Castiglione del Lago Il CastelloLa Rocca del Leone è una fortezza medievale dalla singolare forma a cinque punte, che ricorda la costellazione da cui prende il nome, quattro torri e un mastio triangolare la completano. Edificata per volontà di Federico II a partire dal 1247, costituisce uno dei migliori esempi dell’architettura militare del Medioevo umbro.

Su oltre 1200 m2 il Palazzo racchiude uno tra maggiori cicli pittorici del tardo manierismo umbro-toscano: dipinti dal Pomarancio, per celebrare le gesta del condottiero Ascanio della Corgna con temi cari al XVI secolo; le valorose imprese di eroi romani e le scene ispirate alla mitologia greca oggi ci sono state restituite alla loro bellezza originaria dopo un attento restauro.

Potete solo immaginare dalla foto, quale sia il panorama che si possa godere dalla torre di questo angolo d’Italia: il lago, gli ulivi, e tutt’intorno una vegetazione che incornicia questo borgo, particolarmente apprezzabile percorrendo il camminamento della cinta muraria che collega il palazzo al castello.

PANICALE

Pianta di PanicaleDa un colle all’altro, ecco Panicale: “luogo dove ardono are al dio Pan” (Pani calet), o “dove tutto è bello” (Pan kalòn), oppure “colle sacro a Pan” (Panis collis) o, ancora, “luogo dove si coltiva il panìco” (pan colis), cereale rappresentato nello stemma da due spighe: qualunque sia la vera etimologia, Panicale è luogo di grande fascino.

Conserva, praticamente intatta, la struttura del castello medioevale, e si sviluppa su tre livelli con due ingressi, l’uno verso Perugia l’altro verso Firenze, le sue tre piazze inglobate in un giro di ellissi concentriche. Entrando da Porta Perugina, s’incontra subito Piazza Umberto I, dove spicca la bella cisterna ottagonale in travertino del 1473, poi trasformata in fontana, di fronte al trecentesco Palazzo Pretorio. Questo è il primo dei tre livelli su cui si sviluppa il borgo, ognuno con le sue stradine che convergono verso la piazza.

Panicale Vista della Piazza Umberto IAl secondo livello sta la piazza del potere religioso, che prende nome dalla maestosa Collegiata di San Michele Arcangelo. La chiesa, di origine longobarda, più volte ampliata e infine ricostruita in forme barocche nel 1618, racchiude pregevoli opere d’arte, prime fra tutte la tavola dedicata alla Natività di Giovan Battista Caporali, allievo del Perugino (1519) e, dietro l’altare centrale, l’affresco dell’Annunciazione attribuito a Masolino da Panicale, il maestro di Masaccio.

Saliamo ancora, questa volta verso il potere politico e arriviamo a Piazza Masolino, il punto più alto di Panicale, dove si trova il Palazzo del Podestà del XIV secolo, costruito in stile lombardo-gotico dai maestri comacini. Qui la vista spazia sul lago Trasimeno e le terre di confine tra Umbria e Toscana.

In borghi come questo, agli occhi del turista attento non possono certo sfuggire i particolari, quei dettagli importanti come lo possono essere un volto incastonato tra le pietre di una facciata, le splendide formelle in cotto sui muri delle case, un pozzo decorato, i bei lampioni ad ogni angolo di strada e, ovunque, fiori ad ingentilirne l’aspetto ed abbellirne le stradine.

CITTA’ DELLA PIEVE

La prima cosa che notiamo in questo paese che domina la Valdichiana, non lontana dal confine con la Toscana, sono le sue case, alcune molto alte, costruite utilizzando esclusivamente il mattone di cui la città fu rinomata produttrice nel Medioevo.

Ampiamente utilizzati nelle sue costruzioni, a differenza di altri borghi dove coesiste o prevale la pietra, l’impianto urbano non va a discapito di una diffusa armonia tra architettura, materiali e composizione di forme, senza, per questo, escludere la creatività.

Città della PieveLe piazze Gramsci e Plebiscito che si trovano sul punto più elevato del colle ruotano intorno alla mole del Duomo. Dedicato ai santi Gervasio e Protasio sorge sul luogo della pieve primitiva; vari rimaneggiamenti non hanno però nascosto la costruzione gotica nella parte inferiore della facciata e nell’abside.

Il grandioso Palazzo della Corgna, affacciato su piazza Gramsci, si compone di tre corpi che prospettano su un armonioso cortile interno ed è sede della biblioteca comunale: attualmente il patrimonio librario complessivo è di circa 27.000 volumi di cui 4.000 costituiscono il Fondo Antico. Quest’ultimo rappresenta la parte più importante e preziosa comprendendo, oltre a libri anteriori al 1831, vari manoscritti, incunaboli e cinquecentine.

Nel 1250 i Terzieri nascono come suddivisione amministrativa della città medioevale in tre parti e compaiono nell’atto di sottomissione a Perugia quando, dopo una breve parentesi di libertà dovuta alla protezione dell’Imperatore Federico II di Svevia, l’antica Castel della Pieve viene definitivamente riassoggettata dalla Città del Grifo. Intanto contro Perugia guelfa Castel della Pieve, costantemente ghibellina, si era modellata su Siena, la grande potenza filoimperiale dell’Italia Centrale. E proprio al periodo di affermazione delle libertà comunali risale la definita conformazione urbana, pervenutaci pressoché intatta fino ai giorni nostri.

La forma della città assomiglia ad un’aquila, simbolo dell’Imperatore, ed è orientata minacciosamente verso Roma: sarà forse un caso? Le tre parti dell’”aquila” coincidono con i Terzieri, che a loro volta alludono alle tre classi sociali; alla testa corrisponde il Terziere Castello o Classe dei Cavalieri (gli aristocratici che andavano alla guerra con il cavallo); alla pancia, il Terziere Borgo Dentro o Borghesia; all’ala-coda il Terziere Casalino o Classe dei Pedoni (i contadini inurbati che andavano alla guerra a piedi e usavano l’arco o la balestra).

Tra i secoli XV e XVI, come riferiscono gli eruditi locali, anche a Castel della Pieve come a Siena si svolsero le Cacce del Toro sfidandosi al tiro dell’arco su sagome mobili in forma di toro chianino collocate su una pedana circolare. Il periodo in cui si eseguivano le Cacce del Toro coincide con quello in cui visse il più grande figlio di Città della Pieve, Pietro Vannucci detto “Il Perugino” (1450 c.a. – 1523). E proprio al Maestro di Città della Pieve si ispirano i costumi dei circa 1000  figuranti che compongono il Corteo Storico del Palio dei Terzieri.

Proprio in prossimità della festa di S. Luigi Gonzaga, patrono del Terziere Casalino, la città era pavesata con stendardi dei terzieri; nelle due settimane centrali di agosto, i Terzieri si sfideranno nel Palio, per la Caccia del Toro.

Vicolo BaciadonneUna curiosità: il Vicolo Baciadonne. È ritenuta una delle vie più strette d’Italia, sorta probabilmente a causa di una lite tra confinanti. La denominazione, già rintracciabile nelle piante del secolo XIX, è ovviamente da mettere in riferimento all’arguta fantasia popolare. Percorso il vicolo, splendida veduta sulla Chiana Romana ed il fiume Cetona.

E qui termina la prima “puntata” nell’attesa che Marina riesca a districarsi dall’abbraccio possente dei muri che la tengono “prigioniera”.

A presto da Marina e Luciano

La magia delle OGR: architettura d’autore e capolavoro dell’architettura industriale piemontese.

sabato 4 giugno 2011

La mostra fotografica che ci accoglie lungo la cancellata e il muro delle ex Carceri Nuove è stata curata dal Museo Ferroviario Piemontese.

È un racconto per immagini su cosa e su com’erano le Officine Grandi Riparazioni prima della loro chiusura. Si è preferito allestirla al loro esterno in modo da mantenerla visibile per l’intera durata delle manifestazioni legate al centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia.

Questa è la storia di una fabbrica rimasta invisibile ai più finché attiva, come tanti altri luoghi di lavoro i cui muri celano quanto avviene al loro interno. Ora per le OGR è iniziata una nuova vita: i visitatori hanno l’opportunità di scoprire, oltre alla bellezza degli edifici, anche le storie di vita e di lavoro che qui si sono intrecciate per lunghi anni fra operai orgogliosi del loro “saper fare” e ingegneri che misuravano i loro saperi.

Le OGR sorgono a fine Ottocento sulla tratta di collegamento tra Porta Nuova e Porta Susa, sostituendo quelle già esistenti nelle due stazioni. Occupano un’area di 190.000 metri quadrati e, fino al 1911, furono il più grande stabilimento di Torino con circa duemila addetti. Verranno chiuse nel 1992.

L’aggregazione di persone di diversa provenienza favorì l’integrazione delle molteplici culture inserendo le Ferrovie in quel rivolo, mai del tutto concluso, di costruzione dell’unità nazionale. Il perseguire un unico obiettivo e le caratteristiche delle lavorazioni che, seppur industrializzate, erano lontane dal lavoro alienante della catena di montaggio, hanno fatto il resto.

Forse vale la pena ricordare cos’era l’industrializzazione ai primi del Novecento: Torino ed Ivrea hanno rappresentato, seppur in epoche diverse, la mentalità progressista ed illuminata dei suoi Imprenditori, i Leumann e gli Olivetti. Così dobbiamo farci aiutare dall’immaginazione per apprezzare meglio questa prospettiva di edifici; austere ed eleganti le loro facciate, ai tempi del loro massimo splendore, si mostravano immerse in una vegetazione curata e rigogliosa arricchita da una fontana zampillante in cui nuotavano le trote.

In alcuni reparti il frastuono era assordante, tuttavia il progetto generale dell’impianto industriale tenne conto di questo fatto: il rumore veniva praticamente assorbito dagli spessi muri di mattoni e dalle piante di alto fusto: fuori dalla fabbrica si poteva sentire il canto degli uccellini.

La parte superiore degli edifici ci rimanda invece a quel tipo di architettura propria dell’Inghilterra di fine Ottocento con le sue fabbriche tessili in piena rivoluzione industriale. Le grandi finestre, disposte una accanto all’altra sui due piani, conferiscono alla struttura l’aspetto di quelle che – nel Medio Evo – erano chiamate anch’esse Fabbriche, le Cattedrali Gotiche. Dall’interno, proprio come succede nelle chiese, possiamo assistere a quei giochi di luce creati dai raggi del sole che, attraverso le vetrate, come sottili lame vanno ad illuminare l’immenso contenitore di storia e cultura allestito per celebrare l’Unità d’Italia.

A questo punto vale forse ricordare cos’hanno rappresentato le OGR nel contesto del nostro territorio.

Torino, dopo quattrocento anni, aveva perso il suo status di capitale e la propria identità che, proprio in Torino capitale, si riconosceva. La corte  e i suoi apparati amministrativi e burocratici l’avevano abbandonata, e questo aveva comportato, come risvolto economico e sociale, una gravissima depressione dell’economia locale: se voleva sopravvivere, Torino doveva re-inventarsi, cercando una nuova vocazione. La Municipalità mise in atto un’abilissima politica per attrarre gli investimenti per la nascente industria; furono migliorati i collegamenti ferroviari, si diffuse la scolarizzazione, fu impostata una efficace assistenza sociale.

L’Italia, in poco meno di un quarto di secolo, era passata da una frammentazione di stati, staterelli, ducati a presentarsi alla ribalta europea come uno Stato unitario che si proponeva diventare protagonista economico, oltre che politico. L’unificazione dello stato comportava anche l’unificazione dei territori:  vengono sviluppate le grandi infrastrutture per i collegamenti dal nord al sud. Lo sviluppo di una rete ferroviaria di vaste proporzioni presupponeva tuttavia anche l’assistenza e soprattutto la manutenzione e riparazione del materiale rotabile.

In questo contesto economico nascono le Officine Grandi Riparazioni un centro di avanguardia funzionale al potenziamento degli scambi delle materie prime e i prodotti industriali: l’area individuata è quella della periferia ovest della città, dove sono presenti strutture pensate e realizzate nell’ottica, assolutamente non miope, di uno sviluppo anche successivo

Proprio per le esigenze delle maestranze che operavano nelle Officine, nacque il primo agglomerato abitativo di quello che sarebbe poi diventato il popoloso ed operaio Borgo San Paolo.

La manutenzione del materiale rotabile presupponeva una serie di capacità che abbracciavano un po’ tutte le specializzazioni di allora: erano necessari i falegnami, i battilastra, i meccanici, gli arredatori: erano una manodopera specializzata quella richiesta, ma erano anche operai orgogliosi di fare parte di questo grande complesso industriale.

Essere ammessi a quello che possiamo ora chiamare “periodo di prova” già riconosceva di fatto la specializzazione dell’operaio che doveva, in ogni caso per l’assunzione definitiva, presentare il cosiddetto “capolavoro”, ovvero un manufatto industriale caratterizzato da una lavorazione di alta precisione.

Questa “elite” operaia, super specializzata ed orgogliosissima, ebbe anche un “compito” storico: fu probabilmente proprio per questo contesto, e conseguentemente il differenziarsi dal resto della manodopera non qualificata che all’epoca rappresentava ancora una larga fascia della popolazione operaia, che divenne altissima la politicizzazione e la sindacalizzazione.

Nacque nel Borgo San Paolo, il “borgo rosso” di Torino, la prima diffusa affermazione del socialismo; insieme ai quartieri Lingotto e Mirafiori rappresentava quell’urbanizzazione industriale che caratterizzò Torino dalle sue origini industriali fino a qualche decennio fa e saranno proprio queste agglomerazioni urbane a tracciare la lotta del movimento operaio torinese.

Gli scioperi dell’agosto del 1917, durante la prima esperienza terribile di guerra mondiale, vedranno un’attiva partecipazione degli abitanti di Borgo San Paolo; nel 1920 saranno i realizzatori di un proprio esperimento socialista, l’occupazione e l’autogestione delle fabbriche. Sotto l’influsso di Gramsci, sarebbero arrivate in modo significativo le prime adesioni al partito comunista d’Italia. Anche sotto il fascismo, il “borgo rosso” si distinse in modo particolare dando vita ad un forte antifascismo ed una fortissima adesione al movimento della Resistenza.

Anche gli scioperi degli anni 60 e 70 videro gli abitanti di Borgo San Paolo particolarmente impegnati nelle lotte operaie: la sede di una delle grandi aziende automobilistiche italiane, la Lancia, era proprio qui.

Ritorniamo però alle tre mostre che sono capaci di suscitare tra il pubblico curiosità e forti emozioni.

“Fare gli Italiani”: c’è tutta l’Italia con il suo passato, un percorso nel tempo per comprendere il processo attraverso il quale, fatta l’Italia, occorreva fare anche gli Italiani, superando le diversità, favorendo l’aggregazione e mitigando le divisioni.

E il presente ci conduce verso “Stazione futuro: qui si rifà l’Italia” dove la fantascienza s’immagina diventare presto la realta, dai trasporti elettrici, all’architettura bioecologica, sconfitta di molte malattie.

Infine il futuro nelle mani “Artieri domani”, l’artista-artigiano, che ci riporta alle esposizioni del 1911 e 1961 con laboratori progetti architetture e creazioni, ponendo in primo piano l’eccellenza artigianale italiana.

E non solo a livello nazionale, ma anche una particolare ed unica eccellenza artigiana del territorio volpianese: quella delle biciclette “costruite a regola d’arte” da Gios. E non solo l’artiere Gios è presente, ma anche la SMAT che ha lanciato nello spazio il nome di Volpiano attraverso la collaborazione di Thales Alenia Space, un progetto di “acqua di volo” potabile per l’utilizzo sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS).

Non si può, e non si deve, raccontare la mostra; il nostro scopo è quello di suscitare il desiderio della visita che abbraccia non solo l’industrializzazione del nostro Paese, ma anche i cambiamenti culturali, le difficoltà nelle e delle due guerre mondiali, le lotte operaie: percorsi tematici che affrontano l’Italia delle città, campagne, scuola, chiesa, migrazioni, Prima Guerra Mondiale, Seconda Guerra Mondiale, partecipazione politica, mafie, fabbriche, consumi, trasporti, mezzi di comunicazione di massa.

Marina e Luciano

Gita a Hautecombe e Chambery

giovedì 17 marzo 2011
Chambery

Cattedrale di Chambery dedicata a San Francesco di Sales

Cattedrale di Hautecombe

Cattedrale di Hautecombe

Maria Cristina, moglie di Carlo Felice

Maria Cristina, moglie di Carlo Felice

Sabato scorso abbiamo avuto modo di partecipare ad una gita ad Hautecombe con gli amici del passato e altri gruppi di Mappano, Borgaro, per una messa in suffragio di Umberto II di Savoia e MariaJose’, sepolti a Hautecombe.

Era da tempo che ci eravamo riproposti di vedere la splendida cattedrale risalente all’anno 1100 che si affaccia sul lago del Bourget in Savoia e pertanto non ci siamo persi l’occasione. Seppure il tempo non fosse dei migliori, non ha piovuto se non verso le cinque di sera, a giornata e cerimonia terminate.  Il viaggio di andata è stato piacevole, con doverosa pausa caffe’: verso le 10 siamo arrivati a Chambery, capoluogo della Savoia, popolata da ca. 61mila abitanti attualmente, appartenuta al Regno di Sardegna fino al 1860 con il nome di Ciamberi. E’ stata fondata nel X secolo intorno ad un maniero, passò poi nelle mani di Goffredo di Chambery nel secolo successivo; in seguito Berlione II diede vita alla città di Villeneuve, che fu unita al vecchio nucleo nel 1288 ad opera di Amedeo V di Savoia.   Sulla piazza principale si affacciano eleganti palazzi appartenuti all’aristocrazia savoiarda. Ovunque ancora oggi spiccano gli stemmi  di casa Savoia. Uno dei palazzi più importante é appunto il Castello dei Duchi di Savoia, fondato nel XIII secolo, rimaneggiato in più riprese, ma conservandone sempre la funzione amministrativa. Accanto spicca la bella torre campanaria della cappella con 70 campanelle tuttora funzionanti. Purtroppo il castello era chiuso e non abbiamo potuto visitarlo, così pure la torre. Abbiamo poi finalmente trovato la cattedrale, dopo alcuni giri a vuoto. E’ dedicata a Saint Francois de Sales, antica cappella francescana nel XV secolo, divenuta cattedrale nel 1779, possiede la piu’ vasta collezione di pitture trompe d’oeil d’Europa, realizzate nel 1835. Di ispirazione bizantina é invece un bel dittico in avorio del XII secolo. La cattedrale é di stile gotico, dietro l’altare campeggia una copia della Santa Sindone, a ricordo delle riparazioni avvenute ad opera delle suore di Chambery appunto, dopo i danni provocati al Sacro lenzuolo da un incendio. Bello anche il chiostro con un magnifico glicine all’interno. Da vedere é anche la fontana degli elefanti, eretta nel 1838 in memoria delle gesta di un Conte del luogo in India. Purtroppo il tempo (3 ore scarse) era poco e abbiamo dovuto lasciare la cittadinaverso l’una. Abbiamo pranzato a Aix les Bains per avvicinarci a Hautecombe: l’impressione molto parziale era però di una cittadina termale piacevole. Dopo una buona crepe salata, molto delicata, di grano saraceno, siamo arrivati sul lago, all’abbazia.  La chiesa abbaziale é lunga 70 metri e larga 30, in stile gotico romanico. Tutti i pilastri furono trasformati in monumenti ciascuno con statue, bassorilievi in memoria dei principi di Savoia. Le statue sono ca. 300, di cui tre di particolare menzione: La pietà (Benedetto Cacciatori), il re Carlo Felice (Cacciatori) e la Regina Maria Cristina (Albertoni). Sulle pareti ci sono degli splendidi affreschi del Vacca e del Gonin. I Savoia ebbero tre principali luoghi di sepoltura: Hautecombe per signori, conti e duchi, Superga per i re di Sardegna e il Pantheon a Roma per i re d’Italia. Ad Hautecombe vi sono sepolti anche Umberto II (re di maggio),  che non potè rientrare neanche  da morto in Italia e sua moglie Maria Jose’. Alle 15 è stata celebrata una messa in loro suffragio. Erano presenti il principi Vittorio Eamnuele III e la moglie Marina Doria e numerosi membri degli ordini dei cavalieri di Malta, cavalieri di Vittorio Emanuele, servizi d’ordine, personaggi dell’aristocrazia piemontese e persone comuni. Ha celebrato la messa il vescovo di Chambery: la funzione era in italiano e la predica in francese. Un coro di Rivoli ha eseguito con perizia alcuni brani. Al termine della cerimonia, le persone interessate andavano a rendere omaggio ai principi: era bello veder sfilare in pompa magna tutti quei nobili, sfarzosamente vestiti.

Mentre salivamo sul pullman cominciava a cadere una fitta pioggia che ci ha accompagnato nel viaggio di ritorno. Peccato la giornata grigia, perche’ il posto era veramente incantevole.

Franca.

Ovada Ligure

martedì 15 marzo 2011

  

Non vi preoccupate, non è né un errore né un vezzo: semplicemente nel lembo sud-orientale del Piemonte si parla  ligure per un retaggio storico.

Dalle vette degli Appennini si vede il mare e nelle loro valli sono passate le carovane del sale.

Ovada fu sotto i marchesi del Monferrato ma, a partire dalla prima metà del secolo XIIIo, le sue vicende gravitarono nell’orbita di Genova. Nel tardo Medioevo, a fasi alterne, fu sotto il dominio dei Malaspina, dei Visconti, degli Spinola e, fatte salve alcune parentesi nella prima metà dei secoli XVIIo e XVIIIo, la città rimase alle dipendenze di Genova fino al 1820.

Una nota curiosa: sotto la Rivoluzione Francese venne redatto il primo progetto per quella via di comunicazione che, sebbene necessaria, non era mai stata realizzata prima: una strada che collegasse direttamente Ovada con Genova la cui esecuzione sarà però realizzata solo alla fine del 1800.

Passeggiare nel nucleo più antico dell’abitato dà veramente l’impressione di trovarsi in uno dei tanti paesi rivieraschi. Se alziamo lo sguardo possiamo ammirare le inconfondibili facciate liguri dai colori che vanno dal giallo all’ocra passando per il rosa. Le persiane sono verdi ed hanno i battenti che si aprono a ribaltina e, ad abbellire porte e finestre, ci sono motivi ornamentali molto graziosi.

Sulla piazza principale si erge la maestosa parrocchiale dell’Assunta che, con i suoi due campanili, ci regala un bel colpo d’occhio. Questa chiesa racchiude fra le sue mura una storia importante che, come Volpianesi, ci interessa molto da vicino.

Riteniamo sia giusto fare, in questa occasione, una digressione alla descrizione della gita perché c’è un filo che ci lega ad Ovada. Ve lo vogliamo riferire.

Intorno agli anni Ottanta, Papa Giovanni XXIIIaveva dato indicazioni circa l’opportunità di intraprendere azioni di aiuto verso i paesi sottosviluppati.

Il dottor Bordigoni ci ha raccontato che in quegli anni il parroco di allora, Don Vallorio, e l’intera comunità parrocchiale avevano sostenuto, sia economicamente sia operativamente, le Suore Benedettine della Provvidenza di Ronco Scrivia le quali avevano raccolto con entusiasmo il desiderio del Pontefice. Si trattava tuttavia di un progetto ambizioso per cui si sarebbero dovute preparare adeguatamente, andando a studiare ad Anversa: il compito che le avrebbe attese era sicuramente arduo e la competenza doveva essere adeguata.

Nei dispensari ed ospedali dell’Africa i mezzi a disposizione del personale sanitario sono sempre insufficienti per far fronte ad un quotidiano  fatto di situazioni al limite della continua emergenza. In questo contesto le suore avrebbero operato senza poter contare sulla presenza di un medico anche per prolungati periodo di tempo.

Ma, domanderete voi, quale filo riannoda la città di Ovada ed il suo vecchio parroco, prematuramente deceduto, da cui è partito questo magnifico progetto, a Volpiano? È un filo sottile e, tuttavia, estremamente forte e resistente.

Nel 1981 in Burundi, a dar loro un aiuto, arriva un’equipe sanitaria di cui fa parte  anche  il dottor Bordigoni alla sua prima esperienza in quel continente. È lì che conosce le suore con le quali collaborerà negli anni successivi portando avanti, insieme ad altri, un’opera umanitaria altamente significativa.

E così, ogni anno, il dottor Bordigoni ci incontra, con il pretesto di una cena aperta a tutti; in questa occasione ci rende partecipi, quasi come un rendiconto, di cosa è stato fatto nell’anno appena trascorso e degli obiettivi da raggiungere per quello successivo.

La risposta dei Volpianesi a questi appuntamenti è sempre stata forte: l’aiuto e la generosità di tutti fanno sì che si riesca a sostenere e far giungere aiuti importanti, nonostante la distanza: è proprio in questo modo che si è venuto a creare un legame ideale fra la popolazione di Volpiano e quella di Ovada, entrambe solidali con il Centro sanitario di Kabulantwa in Burundi gestito dalle Suore Benedettine di  Ronco Scrivia.

Torniamo, adesso, a bighellonare per segnalarvi una chiesa sconsacrata in Vicolo San Giovanni il cui campanile conserva tracce romaniche. In piazza San Domenico si trova la casa natale di San Paolo della Croce, fondatore della Congregazione del Passionisti. La statua che lo raffigura è collocata vicino al bel portone di ingresso e sulla facciata una nicchia votiva e due affreschi, elementi quest’ultimi che conferiscono una nota di eleganza alla casa. C’imbattiamo anche in una civica scuola di musica: concorrenti dell’Istituto Lessona? Il palazzo che la ospita ha le bandiere all’esterno che, ammettiamolo, conferiscono un certo tono.

Uscendo dalla città ci torna in mente quello che abbiamo letto su una vecchia guida. Sulle montagne che la circondano, nei secoli scorsi, accorsero molti cercatori d’oro con la segreta speranza di trovarvi ricchi giacimenti. Dopo molta ed inutile fatica, la delusione prese il sopravvento e l’impresa fu abbandonata.

In chiusura vi segnaliamo che, proseguendo verso Gavi Ligure, inizia quella che viene definita la strada dei castelli. Il paesaggio è movimentato da una miriade di manieri, torri, ruderi e fortezze fino a formare un anello, all’epoca di protezione, e che oggi ci regala notevoli effetti scenografici.

Ma questa, si sa, è un’altra storia e quindi sarà un’altra gita

Marina e Luciano

Dalle parti di Gianduja

domenica 20 febbraio 2011

Niente di più facile, nel periodo di Carnevale, pensare ad una visita dalle parti di  Callianetto, patria di Gianduja, maschera resa celebre da un burattinaio G. B. Sales che la creò nel primo decennio del 1800, convertendo quella di Gironi, o Girolamo, per la quale aveva passato tanti guai giudiziari. Per chi volesse può visitare il “Ciabot ‘d Gianduja”.

Da Asti a Casale, questa è la porzione di territorio esplorato durante la nostra gita, una parte di Monferrato che racchiude paesini che, all’imbrunire, quando si accendono le luci nelle case, ricordano i presepi di un tempo, mentre di giorno offrono scorci panoramici notevoli, veri balconi che si affacciano sulle colline che li circondano. Oltre ci sono le Alpi, la loro maestosa catena che abbraccia l’intero orizzonte e che gratifica il nostro sguardo sempre alla ricerca di emozioni.

 

Portacomaro in una stampa dei primi del Novecento

Portacomaro in una stampa dei primi del Novecento

Portacomaro

conserva la parte alta dell’abitato chiusa entro i resti delle mura del ricetto medioevale con le sue case e i due campanili. Il borgo fortificato ha una porta centrale che è affiancata da due torri. Di origine romana (fondata dalla Gens Comaria), dopo le alterne vicende storiche italiane, divenne feudo degli Orleans, dato poi in dote a Valentina Visconti, per poi legare le proprie vicende storiche a casa Savoia. Nella piazza adiacente al torrione abbiamo assistito ad una partita amichevole di tamburello, sport che insieme a quello a muro, alla palla pugno e al pallone con  il bracciale fa ancora parte della cultura locale.

 

Scurzolengo Particolare del Castello

Scurzolengo Particolare del Castello

Scurzolengo, a pochi chilometri da Portacomaro, si offre alla vista dei turisti con il suo notevole castello in cotto, che, nonostante i rimaneggiamenti, conserva la sua struttura originaria. Dal 1944 il paese divenne riferimento per le prime formazioni partigiane della zona. Durante la lotta di liberazione, il 30 agosto 1944, subì un duro rastrellamento quando diciassette case vennero incendiate per rappresaglia dopo uno scontro tra partigiani e tedeschi.

 

Castell’Alfero: una piacevole scoperta insieme a Moncalvo. Adagiato sul colle, offre uno spettacolare panorama incorniciato dall’arco alpino. Diede i natali a Giovan Battista De Rinaldis, martire del nostro Risorgimento, ed ideatore della coccarda tricolore cui si ispirò successivamente la nostra bandiera.

Castell'Alfero Particolare della facciata del Castello

Castell'Alfero Particolare della facciata del Castello

Si raggiunge la parte alta salendo la scalinata al termine della quale domina la Parrocchiale barocca dei santi Pietro e Paolo. Dall’altro lato, l’architettura del vecchio forte, rimaneggiata in dimora patrizia nel 1700 con un inserimento perfetto nel paesaggio naturale. Il fronte si presenta spezzato con una profonda nicchia centrale e le ali laterali colonnate, che ci hanno ricordato rispettivamente Palazzo Carignano e la Palazzina di caccia a Stupinigi.

Moncalvo: importante piazzaforte nel secolo XVI° nel corso del quale passò alternativamente dagli Spagnoli, ai Francesi e ai Milanesi. È stata da noi eletta “capitale” del territorio visitato, e non solo per il numero dei suoi abitanti che supera di un migliaio quello degli altri paesini.

La differenza sta nell’impianto urbanistico che, rispetto alla vecchia struttura medioevale, ci concede un soffio di modernità rappresentato dalla via XX Settembre che ci condurrà  nella piazza Garibaldi, il centro del paese.  Un’arteria con numerosissimi negozi, vivace e curiosa, sinuosa e ripida con case d’epoca molto interessanti.

Moncalvo Il centro

Moncalvo Il centro

La piazza Garibaldi offre una prospettiva armoniosa, con il Municipio, il teatro e la via Testafochi, uno spicchio di Umbria trapiantato in Monferrato, dove si affaccia la gotica casa De Maria, in cotto con finestre ornate di fasce decorative. Davvero notevole come la facciata della chiesa della Madonna delle Grazie, poco più avanti, costruzione del Magnocavallo, con all’interno dipinti attribuiti al Moncalvo e purtroppo chiusa. Ricordiamo che Guglielmo Caccia, detto il Moncalvo, nacque a Montabone presso Acqui Terme e fu tra i principali esponenti in Piemonte del manierismo pittorico devozionale. La piazza Garibaldi sembra fondersi, senza soluzione di continuità, con piazza Carlo Alberto pur avendo, quest’ultima, caratteristiche molto diverse. Intanto è più esterna e ti conduce direttamente al punto panoramico che in questi luoghi non manca mai, è ariosa, pur avendo un lungo porticato alla fine del quale si trova uno dei due torrioni ancora esistenti e in fase di ristrutturazione.

 

Grazzano Badoglio Chiesa dei santi Vittore e Corona; dietro il campanile romanico

Grazzano Badoglio Chiesa dei santi Vittore e Corona; dietro il campanile romanico

Grazzano Badoglio

deriva la seconda parte del nome dall’aver dato i natali a Pietro Badoglio che fu capo di stato maggiore dell’esercito e nel 1943-44 primo ministro. L’abitato, con varie case medioevali nella parte alta, si chiama Borghetto ed è dominato dalla parrocchiale dei Ss. Vittore e Corona. La storia di questa chiesa iniziò nell’anno 961 quando il marchese Aleramo I del Monferrato fondò su questo colle un’abbazia che affidò ai monaci Benedettini. Di quella prima costruzione rimangono la torre campanaria romanica e il chiostro. Venne poi soppressa con decreto di Napoleone nel 1802. Sarebbe stato interessante poter visitare anche l’interno della chiesa attuale, considerato il suo passato,  e per il fatto che custodisce una tela del Moncalvo e un frammento di un mosaico pavimentale di sicuro interesse. Sfortunatamente si devono sempre fare i conti con chiese, musei, palazzi rigorosamente chiusi per la maggior parte dell’anno.

 

Ottiglio Il campanile

Ottiglio Il campanile

Ottiglio,

ormai la giornata volgeva al termine, e la luce per le foto cominciava a scarseggiare. Si possono notare il Castello, ancora molto ben tenuto e secondo noi abitato almeno parzialmente, e la Chiesa chiusa (!) di San Germano, una grandiosa costruzione del Magnocavallo con un interno davvero sfarzoso, non visto da noi. Non dimenticate di osservare la tipicità e i colori delle pietre usate nelle due costruzioni.

C’è purtroppo da segnalare una nota negativa che riguarda l’intero paesaggio, e non solo, il Monferrato. Il continuo insediamento di capannoni industriali a ridosso dei paesi ha deturpato in modo definitivo le bellezze dei luoghi. La scarsa cura e attenzione per il nostro patrimonio, unite a scelte scellerate in virtù di tornaconti economici hanno dato il via ad uno scempio di cui non si intravvede la fine. E’ un dato di fatto che si commenta da solo.

Marina e Luciano

Liguria, tra storia e cultura

lunedì 31 gennaio 2011

 

Itinerari per gite fuori porta di due, tre giorni. Da tempo scegliamo  percorsi alternativi, raggiungendo città e paesi poco visitati tuttavia non per questo meno interessanti.

La conferma che si tratti di luoghi che vale la pena visitare la troviamo quando ci imbattiamo, e succede spesso, nei turisti stranieri che hanno avuto la nostra stessa idea. A dire il vero, il più delle volte, constatiamo che ci hanno preceduti.

Cominciamo con la vicina Liguria: Vi daremo sempre solamente qualche spunto sulla località, nella speranza di suscitare in voi il desiderio di scoprirla personalmente

Zuccarello

Zuccarello - CarrugioA una manciata di chilometri dal mare, lungo la provinciale 582 che collega Albenga con Garessio, ci viene incontro Zuccarello, uno tra i borghi più belli d’Italia.

L’urbanistica del centro storico si propone ancora oggi nella sua originalità: un’unica via cui fanno ala una serie di bei portici con prospettive, per il fotografo o il pittore, davvero suggestive. Lasciamo la via principale e inoltriamoci nei carrugi che da questa si allontanano. Abbiamo come sfondo le case che si allungano sul torrente Neva, oltrepassato da un suggestivo ponte medioevale a schiena d’asino, uno tra i meglio conservati della Riviera ligure.

Il paese di Zuccarello fu fondato il 4 aprile del 1248 dai marchesi di Clavesana e dalla popolazione della val Neva, l’antica Vallis Cohedani; l’atto di fondazione è ancora oggi conservato presso l’archivio storico del Comune. A causa della forte posizione strategica, nella sua storia, fu più volte conteso tra varie fazioni nobiliari.

Il borgo, sempre secondo la tradizione, doveva essere edificato dagli abitanti, che ne avrebbero poi costituito il paese, nell’arco di dodici mesi ovvero dal Natale del 1248 a quello successivo del 1249; in un antico documento storico si è potuto apprendere che un curioso patto sancì che chi non avesse terminato la propria futura residenza entro la data stabilita sarebbe stato bandito definitivamente dal luogo e multato di un’adeguata somma a seconda della fascia di età.

La statua bronzea di Ilaria del Carretto ci attende sulla soglia della porta sud per accompagnarci in visita alla Chiesa di San Bartolomeo, protettore della città, all’Oratorio di Santa Maria Nascente, al Palazzo Marchionale e alle varie porte, più o meno ben conservate, che si aprono dalla cinta muraria.

Castelvecchio di Rocca Barbena

Castelvecchio di Rocca Barbena La piazzettaProseguiamo e raggiungiamo, dopo pochi chilometri, Castelvecchio di Rocca Barbena, paese di tipico aspetto ligure. 

Aggrappato ai piedi della roccia su cui si erge l’imponente castello a difesa del borgo medioevale, è più volte passato di mano nel corso dei secoli. La sua austerità rivela tutta la fierezza con cui si è sempre difeso, anche se con alterne fortune, dai potenti vicini.

Di particolare interesse sono le antiche case in pietra con le finestre incorniciate di bianco e i portali in tufo: restano caratterizzanti del borgo i sottotetti ad arco e le sagome dei forni per la cottura del pane, sporgenti rispetto al profilo delle case che, nelle viuzze interne, si sostengono reciprocamente, le une alle altre, con archi che avevano funzione antisimica.

Passeggiate senza meta e scoprirete come il borgo sia cresciuto intorno alla piazza, un vero gioiellino, dove, nel passato, si svolgeva la vita in comune.

Marina e Luciano