Da Cologno a Colono

L’altra sera al Carignano

Lascio le parole del regista Mario Martone parlare dello spettacolo. “La serata a Colono è l’unica opera per il teatro di Elsa Morante, ispirata all’Edipo a Colono di Sofocle: pubblicata ne “Il mondo salvato dai ragazzini”, non è mai stata rappresentata.

“Carlo Cecchi ha vissuto accanto alla scrittrice il percorso dei diversi desideri di messa in scena di questo testo da parte di Eduardo De Filippo, Carmelo Bene, Vittorio Gassman, e ha immaginato di realizzarla egli stesso. Con Carlo abbiamo lavorato più volte insieme, e più volte abbiamo parlato de La serata a Colono: l’amore per questo testo ci spinge oggi a lavorare allo spettacolo.

“A me, che non ho avuto la fortuna di conoscere Elsa Morante, sembra di ascoltarla mentre con gli attori cominciamo a leggere il testo. Ed è una voce che non ha pari.”

Ecco – in breve – il motivo della rappresentazione teatrale e soprattutto quello di assistere ad una prima mondiale con una compagnia “formata da attori che hanno recitato con Cecchi e con me [Ndr: Mario Martone in prima persona], mentre Nicola Piovani e Sergio Tramonti lavoreranno alla musica e alle scene. Entrambi, e con loro Angelica Ippolito, hanno vissuto con Cecchi e con la Morante la straordinaria stagione del Granteatro: nell’incontro tra generazioni diverse rivive lo spirito di un gruppo”.

Il testo dal 1968 è stato il faro di riferimento per molti artisti, faro – tuttavia – cui mai nessuno ha osato avvicinarsi: ci sono voluti quasi cinquant’anni prima di portarlo in scena!

“Parodia” è il sottotitolo dell’opera della Morante a identificare la trasposizione dell’opera originale di Sofocle, anche se ne trasfigura il contenuto rovesciando diversità di tempi, luoghi, significati, quasi svuotando il senso mitico iniziale e, manipolandolo, caricarlo di significati moderni.

Diversi sono i piani di lettura del testo che nella trasposizione teatrale è rimasto identico a quello scritto dalla Morante. Unica variante è rappresentata dal Coro che è invisibile fisicamente (come precisa l’autrice) mentre nella resa teatrale diventa fisicamente visibile, quasi a dare concretezza e risposte ai pensieri di Edipo.

L’analisi dei linguaggi adoprati, e prestati al servizio dei personaggi, ne connota l’estrazione e l’influenza sociali, particolareggiati dai ranghi cui appartengono e dai ruoli che rappresentano, distinguendone modalità e mutazioni stilistiche nei diversi contesti in cui il personaggio stesso viene, a mano a mano, ad operare.

A solo esempio valga quelli adottati dai Guardiani: è burocratico-ospedaliero che mostra l’assoluta mancanza di sensibilità e delicatezza nei confronti del degente: “Si tratta d’una disposizione provvisoria. / Un posto da sistemarlo si rimedia senz’altro / dentro stanotte.” E più oltre: “Ma questo / che fa? Non muore mai!?”

O quello della Suora che da “tono mielato che si usa coi mentecatti o coi bambini” si fa saccente, duro, mettendo a nudo la vera indole e la completa integrazione in un mondo ospedaliero autoritario, coercitivo e con il proprio argot.

Alla domanda dell’ignorante Antigone “È … roba buona? […] C’è sostanza? eh?” replica “Perché discorri tanto? Che vuoi saperne, tu? / Lascia fare a chi sa. Tuo padre, dato il suo stato, / per ora lo alimentiamo con l’ipodermoclisi”..

Solo successivamente assume la dolcezza materna abbandonando la falsità e presunzione precedenti quando racconta la fiaba.

O quello dei medici improntato a quello asettico medical-burocratico-ospedalierese con un sigillo di impronta “secca ed impaziente” “Niente di nuovo” e poi “Si tratta d’una precauzione elementare / ed indispensabile, nell’interesse stesso / del malato”.

Solamente i linguaggi di Antigone e di Edipo raggiungono lirismi superlativi.

Antigone è “ragazzina selvatica e tremante sui 14 anni, però poco sviluppata per la sua età” e ancora dopo “una zingarella semibarbara e di pelle scura come lui / povera guaglioncella malcresciuta per colpa della sua nascita, che in faccia ha i segni dolci e scostanti delle creature / di mente un poco tardiva…”.

Molto lontana dal modello sofocleo nel suo portamento si esprime con un livello linguistico prossimo allo zero, caratterizzato da unità lessicali elementari e ripetitive (bei, bello, bella, cosa, cose, frebbe …).

“Le cose della scola…le cose della memoria io / ci faccio troppa fatica a ricordare” dirà al terzo Guardiano.

È pura, esente da colpa.

È consapevole della realtà umana del padre, il suo unico scopo è filiale: consola il padre con favole innocenti e piccole bugie. Straordinaria la riflessione che pronuncia alla fine del dramma, di tale profondità di sentimenti, la cui portata filosofico-esistenziale viene esaltata proprio con un linguaggio basico: “Pure se sono nata per dover morire – / sono contenta d’essere nata […] e specialmente a voi pa’ addeso che siete vecchio / io ci penzo che se non ero nata chi ci stava con voi per custodirvi che quello è disastro / per la vecchiaia di non averci gnisuna compagnia”.

Tuttavia è ben consapevole dell’ineluttabilità della sorte quando osserva che “come s’è nati bisogna morire che come la crapa campa d’erba / così la morte campa di gente”.

Edipo contrasta ogni altro linguaggio: è aulico, sovrabbondante, ondulante, distintamente metaforico, schizoide, quasi un monologo Joyciano in più riflessioni, mistico e misterico. La “lettera di raccomandazione di quell’altro dottore” è sintesi del personaggio: “Allucinazioni visive e / auditive mi-sconoscimenti di persone e di luoghi di-sorientato nel tempo … suicidio …clastomane … Logorroico … magniloquente … stereotipie verbali di stile pseudo-letterario … infiorato da citazioni classiche … Flusso verbale carat-teriz-zato da lunghe mo-no-die d’intonazione pseudo-litur-gica o epica … Contenuti de-liranti strut-turati”

Solo, da parte mia, alcuni spunti: la prima preghiera: “ O e-ter-no a-mo-re / stel-la del-le stel-le / sia lode a te, per le maschere as-sur-de e mor-ga-ne, che porti / a coprire la tua bellezza in-co-no-scibile / e per i titoli e pseudonimi fal-sari, che prendi, a nascondere la tua mae-stà in-nominata.”: quasi un Cantico dei Cantici.

“Il cervello è una macchina furba e idiota, che la natura ci ha fabbricato apposta / per escluderci dallo spettacolo reale, e divertirsi ai nostri equivoci. / Solo quando la macchina si guasta: nelle febbri, nell’agonia, noi cominciamo a distinguere un filo / dello scenario proibito. / Nella mia cecità spasmodica e corrotta adesso io vedo / cose nascoste alla innocente salute, / agli occhi intatti …”

“…OGGI DOMANI E IERI sono tre cavalli che si rincorrono / intorno alla pista d’un circo. […] E MORTE E NASCITA E MORTE E NASCITA E MORTE E NASCITA / questo motto ripetuto a caratteri uguali senza virgole né punti / è stampato lungo il cerchio d’una ruota” È un linguaggio con una variegata fluttuazione di registri linguistici: da quello letterario e altisonante ed accesamente metaforico, a quello umile e quotidiano, gremito di riferimenti a situazioni e luoghi del passato mitico o biblico e della contemporaneità, con un vasto ambito di personaggi, da quelli della favole e dei miti a quelli moderni ed attuali.

E la contaminazione culturale è universale: da antichi canti Aztechi ad un vecchio blues, dall’Inno dei Morti ebraico al Vangelo, dai Veda al Corano.

E chiudo con “O notte / notte, mia casa beata, notte mio primo latte mia dolcezza, perché non torni a consolarmi […] / Tu, o pietà, tu, o riposo, / aiutami GIOCASTA!! / Giocasta aiutami / tu / mamma!!” perché potrà trovare riposo solo nella dissolvenza della notte eterna.

Carlo Cecchi, Antonia Truppo e Angelica Ippolito sono semplicemente straordinari. Fino 27 gennaio è al Carignano: una sera spegniamo Cologno e accendiamo Colono

Luciano Garombo

3 Commenti a “Da Cologno a Colono”

  1. Giusi scrive:

    Gran bel lavoro. Complimenti!

  2. Livia Oddone scrive:

    Il più bel complimento che potessero ricevere gli autori e gli attori della rappresentazione. Espressione di altissimo livello anche sotto il profilo tecnico. Complimenti Luciano, sei un pozzo di cultura!

    Livia

  3. Luciano scrive:

    Grazie Livia. La semplicità è l’essenza dell’universalità (Gandhi) Luciano

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