Filigrane del Giro d’Italia (terza tappa)

Al passaggio della bufera l’empio cessa di essere,

ma il giusto resterà saldo per sempre. (Proverbi 10:31)

Sono oltre tre i mesi passati dalla pubblicazione della seconda tappa, tuttavia vorrei riprendere il giro che per tutto questo tempo ha forzatamente riposato. Desidero anche spiegarne il motivo, tra l’altro molto banale: l’elettrodomestico (tale è la mia irriverenza verso questo mezzo di scrittura) che mi serviva per tradurre dalla testa al video i miei pensieri si è rotto, in modo definitivo.

Avevo cominciato a pedalare da Fossano, dove mi ero fermato per raccontare la storia di Lorenzo, per dirigermi in Canavese, passando per Volpiano e poi fare tappa a Rocca Canavese, teatro di una delle più orrende stragi sul lavoro di cui si abbia memoria, senza che oggi ne sopravviva quasi traccia e ricordo.

Rocca, vent’anni prima del Novecento, contava oltre tremila abitanti; le nuove attività che nel frattempo si stavano sviluppando in Italia fecero sì che il comune lentamente si spopolasse. Nel 1924 la popolazione si era ridotta quasi di un quarto, e l’emigrazione è uno dei segnali che più prepotentemente connota un’economia locale.

Grande sollievo fu tra gli abitanti rimasti quando la Phos Italiana nel 1923 aveva aperto proprio a Rocca la sua fabbrica per la produzione di fiammiferi. Aveva anche un brevetto che le permetteva di primeggiare: i suoi erano fiammiferi la cui fiamma non si spegneva. C’era un piccolo però: la polvere che andava depositandosi sul pavimento durante la produzione faceva sì che, quando le si camminava sopra con gli zoccoli di legno, sotto questi ultimi sprizzavano scintille. Niente di cui preoccuparsi, così dicevano.

Erano state assunte qualche decina di operai: il salario era davvero misero, tuttavia contribuiva in modo determinante a condurre una vita migliorativa rispetto alla media. Erano quattro o cinque lire al giorno ma le ragazze, la forza lavoro era costituita prevalentemente da loro, erano contente: la maggior parte era ancora bambina, dai dodici anni in su. È l’età, questa, in cui la vita è come un’aiuola dove si spargono i primi fiori dei sogni e dove qualcuno comincia a seminare qualche piantina, per vedere se un giorno diventerà un albero robusto alla cui ombra ci si potrà anche ristorare dalle fatiche della vita.

È il 15 marzo 1924: un incendio si sviluppa; intervengono i Vigili del fuoco che da Torino per raggiungere il luogo del disastro, in relazione alle condizioni delle stradine canavesane dell’epoca, impiegano due ore. L’incendio divampa ed avvolge quasi del tutto l’intero fabbricato. Fra gli scoppi e nelle fiamme periscono ventun persone: le vittime sono tre operai e diciotto operaie tra i dodici e i vent’anni! Qualcuna si salvò, buttandosi da una finestra riportando “solo” la frattura a una gamba.

L’ultima operaia sopravvissuta al disastro morì nel 2003 all’età di novantasei anni, di quell’evento non ne avrebbe mai più voluto parlarne: certamente il ricordo di quell’esperienza terribile la deve avere provata per il resto della sua vita.

Foto RoccaIn quell’Italia di allora il disastro fu sottaciuto perché nel nostro Paese -da un paio di anni c’era una “nuova era” in Italia- tutto si diceva funzionasse molto bene, e in un Paese in cui tutto funzionava così bene, certi avvenimenti non avevano alcuna probabilità di accadere, o per meglio dire, anche quando fossero successi, non “dovevano” essere mai successi.

Ai funerali parteciparono, si dice, circa 10 mila persone da gran parte del Canavese.

I parenti delle vittime furono risarcite: il Sindacato Subalpino di Assicurazione pagò cinque annualità di salario cui si aggiunsero 52 mila lire derivanti da una sottoscrizione popolare.

Io una risposta me la sono data circa le radici del disinteresse e i possibili motivi della scomparsa della documentazione su questa tragedia sul lavoro, forse può essere solamente troppo politica: “Non era successo nulla”!

Saltiamo nuovamente in sella … la tappa sarà molto breve.

2 Commenti a “Filigrane del Giro d’Italia (terza tappa)”

  1. Margherita Bigano scrive:

    Che bravo sei Luciano!
    Adesso quanto tempo dobbiamo aspettare per la finale?
    Come Ti è venuto in mente di scrivere questi argomenti? Non ne avevo mai sentito parlare di questa tragedia sul lavoro, seppur molto vicina a noi. E’ vero che una volta le informazioni correvano meno e si nascondevano di più ma anche adesso – quando fa comodo – si nasconde parecchio e si deviano su argomenti futili e leggeri con fiumi di parole,parole, parole ……… o con interventi di opinionisti (ormai è una professione che va di moda) per non far concentrare l’attenzione delle persone sulle tante tragedie che succedono nel mondo.

  2. FRANCA scrive:

    In un’intervista al Sindaco di Rocca, questi dichiara che i giovani del paese oggi non ne sanno nulla. Proprio per questo novant’anni dopo il Comune di Rocca Canavese ha deciso di dedicare un’intera giornata a quella tragedia. «Che non ricorda quasi più nessuno – dice il sindaco Fabrizio Bertetto -. Noi invece vogliamo che le generazioni giovani conoscano questo dramma perché la memoria non deve essere perduta».
    E’ stato scritto anche un libro intitolato “Le piccole fiammiferaie” scritto da Carlo Boccazzi Varotto, storico,ascoltando le testimonianze, cercando di ricostruire la tragedia e cercando di comprendere i motivi dell’oblio.
    Erano poco più che ragazzine e morirono in diciotto, insieme ad altri tre uomini, nell’incendio che il 16 marzo 1924 distrusse la «Phos Italiana», la fabbrica che produceva fiammiferi.
    Quante di queste tragedie dimenticate!!! Quante speranze e vite interrotte.

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