Un grembiule di tela racconta

Un grembiule di tela racconta

Eccomi! Sono un vecchio grembiule, anzi lo fui, perché adesso non potrei per nulla dimostrarlo, senza quel po’ di storia che ricordo e racconto.

Come ero fatto? Ma nel modo semplice in cui erano fatti i grembiuli che si usavano per lavorare davanti a una forgia, un fuoco era visibile tra i carboni ardenti come la lava in un cratere.

Ma questo fuoco di brace viene alimentato da aria soffiata. Come? Un tempo era un mantice che provvedeva, poi venne sostituito da una particolare ruota azionata da una manovella.

Ora è un motorino elettrico che si incarica di far girare la ruota che produce l’aria;  in due parole l’evoluzione di una forgia.

Quindi spiegare come io ero fatto è inutile perché l’avete già intuito. Il vecchio grembiule qual ero è perfettamente uguale a quelli che ancora si usano oggi!

Quello che mi interesserebbe indagare più a fondo è la stoffa di cui sono fatto, purtroppo non ho informazioni in proposito!

Tutte le cose che vi racconto le ho apprese da coloro che mi hanno usato oppure mi sono passate accanto. Io stavo bene attento alle parole che dicevano, mai  nessuno però aveva spiegato perché in tanti anni, con tutte quelle faville spigionate dalla forgia e che si diffondevano in tutte le direzioni, io non avevo neanche una bruciatura!

Forse ero fatto di una tela speciale impregnata di un qualcosa di segreto. E se il segreto è mantenuto nessun altro lo poteva conoscere.

Un giorno però mi appesero ad un vetusto bilanciere nella parte vecchia dell’officina  divenuta quasi un deposito.

Dimenticato dopo essere stato  un utile accessorio per il lavoro. E’ vero che ora avevo le due strisce che si legavano assieme molto sfilacciate e per nulla del colore primitivo, e la stessa cosa era per il grembiule e la fettuccia che si metteva al collo per indossarlo quando il mio padrone mi usava, ma dimenticarmi così!

Appeso in quel modo vi rimasi fino a quando si lavorò in quella piccola officina, dove non si usava più la forgia e tutti i lavori si facevano attraverso dei macchinari con nomi strani: tornio, rettifica, limatrice e via di questo passo.

Dal posto dove mi avevano appeso e  dimenticato sentivo tutti i rumori di quell’altra parte dell’officina.

Sentivo il sibilo che stordiva quando lavoravano la ghisa. Sibilo davvero fastidioso, mentre era più delicato, si fa per dire perché era pur sempre un rumore, quello che si produceva nella lavorazione del ferro o acciaio perché più corto e meno intenso.

Qualche volta sentivo anche cantare, questo significava che il lavoro era già in fase finale o meno impegnativo. Veniva eseguito sempre  con attenzione ma lasciava spazio ad una certa tranquillità. Questo lo pensavo io perché intuivo senza vedere. Ero lì solo, dimenticato e abbandonato perché chi mi indossava non c’era più.

Passarono alcuni anni, forse troppo pochi e i rumori dell’officina cessarono del tutto.

Anche coloro che avevano messo su questo laboratorio di meccanica, uno dopo l’altro presero la via del cielo.

Poi il locale delle macchine si vuotò, rimasero solo gli scaffali ed il lungo bancone con le morse.

Alcuni macchinari vennero acquistati ed entrarono a far parte di altre officine, mentre la restante parte ebbe una sorte diversa.

In parte acquistati ed il resto donato finirono lontano, presero la via di un container per arrivare in una missione in Sud Sudan. Lì, in una nuova officina, sarebbero divenuti strumenti per insegnare un lavoro a molti giovani di Khartum!

Questo cose le ho sentito raccontare da coloro spostavano tutti i macchinari e credetemi, le hanno raccontate diverse volte.

Così fu anche del vecchio bilanciere ed io fui staccato da una donna e appeso poi….a un chiodo in un vecchio locale.

Il chiodo a cui ero appeso era vicino al lavatoio, non c’erano macchinari rumorosi a parte la lavatrice, io non davo fastidio a nessuno, forse è per questo che fui ancora per molto tempo dimenticato.

Così, in questo luogo più silenzioso mi addormentai.

Non so quanto lungo fu questo sonno.

Ancora una volta la donna mi staccò dal chiodo e dal momento che ero appartenuto a suo suocero, decise di non buttarmi via, aveva in testa un’idea.

Ma prima un bel bagno. Per qualche motivo ero repellente all’acqua, non l’assorbivo per nulla. Provò pure a distendermi passandomi sopra il sapone, ma neanche aiutandosi con la spazzola riusciva ad ottenere dei risultati.

Decise che avrebbe usato le maniere forti.

Mi infilò nella lavatrice per farmi un doppio lavaggio, e per la prima volta con qualcosa di più forte.

Che schifo! Scusate ma all’acqua non ero abituato, figuriamoci al detersivo. Quel ruotare vorticoso  in quella miscela a me sconosciuta  mi avevano privato di quel qualcosa che mi aveva per lungo tempo reso intoccabile dalle faville del fuoco.

Ero sbatacchiato contro il cestello, io non potevo uscire, solo l’acqua se ne andava ed io ero sempre lì.

Spiegazzato e stordito avevo notato con terrore dei fili che si staccavano. Stavo morendo? Per fortuna no, erano solo quelli della fettuccia che si appendeva al collo e delle altre due che oramai non legavano più nulla.

Poi ho sentito ancora una volta un calore quasi come quello di un tempo, ma questo era diverso, piacevole.

Ebbi anche un qualcosa per ammorbidirmi e profumarmi mentre non sapevo più quale era la mia parte di sopra e quella di sotto.

Finalmente tutto questo finì e mi ritrovai alla luce del sole, ero soddisfatto mi sentivo per la prima volta pulito.

La donna invece era delusa di me, è vero che ero diventato pulitissimo ma quel piacevole calore aveva fissato tante grinze alla trama del mio tessuto e lei era molto dispiaciuta.

Si sentiva quasi in colpa, provò ancora vedere se con acqua e spazzola si potevano togliere quei segnetti.

РMa perch̩ non ho provato ad insistere a lavarlo solo con spazzola e detersivo?-

Io ascoltavo e mi chiedevo il perché visto che ero così pulito.

Mi tolse quei moncherini di fettucce, mentre mi lisciava con le sue mani e mi faceva asciugare disteso sul tavolo di pietra.

Come mai oggetto di tante attenzioni dopo anni di dimenticanza?

Cercò di stirarmi al vapore, è vero che mi distendevo, ma quei segnetti che lei vedeva restavano!

Poi ahimè, sentii le lame delle forbici che mi tolsero, secondo lei, quello che non poteva essere più usato. Un piccolo intervento chirurgico eseguito con perizia. Mi ristabilii in fretta. Ora ero un gran quadrato di tela e misuravo 67×67 cm.!

E’ in quel momento che la sentii dire che voleva ricordare in qualche modo il grembiule del nonno. E’ in questo modo che venivo riconosciuto dai suoi figli e nipoti e da lei che da cinquant’anni abitava in questa casa.

Queste cose le so perché lei da tempo era sola e parlava con le cose che usava, come per riflettere su quello che voleva fare.

Un giorno lo spezzone di grembiule, quindi io, pulito e odoroso di fresco fu appiccicato su di una parte rigida e posto su un cavalletto da pittore.

Prima venni ricoperto con un fondo per pittura e divenni di color uniforme.

Dopo l’asciugatura e un continuo solletico con dei pennelli di varie misure, ebbi un altro colore, anzi una miscellanea di colori. Questo lo so perché lo disse a qualcuno dei suoi tanti nipoti ed anche cos’era prima questa tela e cosa voleva farla diventare.

Ormai parlava non solo del nonno ma anche del bis-nonno!

Ho impiegato del tempo a capire la differenza tra nonno e bisnonno anche se si trattavava della medesima persona. Adesso so che venivo associato al bis-nonno quando le voci che rispondevano alla donna era più giovanili.

Allora la donna raccontava di quando ero un grembiule e che il bis-nonno lo usava con il nipote più grande, quando loro due, di primo mattino, lavoravano alla  forgia e usavano anche la pressa per stampare il ferro reso incandescente dal fuoco.

Così tra un ricordo lontano e un progetto vicino, venivo a sapere cosa sarebbe sorto su questa porzione di vecchio grembiule da lavoro.

Piano piano prese forma l’idea della donna. Sopra un fondo scuro disegnare una boule di vetro, il contenitore per tanti, tantissimi fiori, di tante varietà così da coprire quelle vecchie pieghe che avevo avuto dopo il mio energico lavaggio a caldo nella lavatrice.

Un semplice pezzo di tela valorizzato e trasformato in quadro, con tanto di cornice,  dipinto da lei a….ricordo del suocero e della nuora, la madre dei suoi nipoti.

Ebbi anche l’onore di essere esposto, non come grembiule come ero nato, ma con questo enorme Bouquet di fiori di tutti i colori, anche particolarmente ammirato perché la donna raccontava a tutti l’origine della tela.

Una delle persone che ascoltò la storia della tela, dei fiori per i suoi cinquanta anni di vita nella casa attuale, e più o meno dei quasi cinquanta fiori dipinti, si mise a contarli e poi esclamò:

– I fiori sono invece 54!-

Adesso lo so anch’io quanti fiori adornano questo quadrato di tela speciale che è diventata quasi un’opera d’arte!

Tutto grazie a quella donna che, fino a quando qualcuno racconterà la storia di questo quadro, potrà ricordare ai posteri la storia di  una casa, di un lavoro, di una famiglia, Ora io, semplice grembiule di officina, posso fare bella mostra assieme alle altre tele che la donna ha dipinto, tele di aspetto meno rugoso del sottoscritto ma che non possono esibire una storia come la mia!

Emilia Testù

P.S ci sarebbe anche la foto del quadro ma al momento non me la prende. Proverò in seguito

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