Arrivano i dodici – Andersen

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Dodici in diligenza di H.C.Andersen

Era la notte di San Silvestro e l’orologio della chiesa aveva suonato allora i dodici tocchi. “Evviva, Evviva” gridava la gente in tutte le case della città, perché era l’ultima sera dell’anno; e allo scoccare della mezzanotte tutti riempirono i bicchieri e bevettero alla fortuna dell’anno nuovo. “Buon Anno, buon anno!” Era l’augurio di tutti: “Salute, pace e felicità… figli maschi e quattrini in quantità!” Tutti ripetevano l’augurio, i bicchieri si toccavano, tintinnando …..e proprio in quel momento, alla porta della città si fermava un carrozzone con dodici forestieri. Chi erano quei viaggiatori? Ciascuno aveva il suo passaporto ed il suo bagaglio; e portavano persino dei regali: per te, per me, per tutta la gente della città. Ma chi erano? Che volevano? Che cosa portavano poi?
“Buon anno!” gridarono alla sentinella ch’era di guardia alla porta della città.
“Buon anno! “ rispose la sentinella; e al primo che scese dalla diligenza:”Il suo nome e la professione?” domandò. “Veda Lei, nel passaporto!” rispose l’uomo: “lo son chi sono!” Ed era un bel tipo davvero, tutto ravvolto in una pelliccia d’orso e con gli scarponi col pelo: “ Sono colui su cui tanti e tanti concentrano le speranze. Venga da me domani, e le darò una bella strenna di capo d’anno. Spargo per tutto mance e doni, e faccio inviti a balli e a feste; ma più di trentuno non ne posso dare. Le mie navi sono in mezzo ai ghiacci, ma il mio studiolo è caldo e vi si sta bene. Sono negoziante all’ingrosso: il mio nome è Gennaio, e porto con me solo conti.”
Scese a terra il secondo; era un allegro camerata, impresario di teatri, direttore di balli figurati, anima di tutti i divertimenti possibili e immaginabili. Tutto il suo bagaglio consisteva in una grossa pentola. “Quando c’è questo, l’allegria non manca mai” diss’egli, “Voglio far divertire, ma voglio anche divertirmi, poi che ho poco tempo da vivere: di tutta la famiglia sono quello che vive meno, ventotto giorni soltanto. Tutt’al più, ogni tanto, mi buttan là un giorno per soprammercato; ma non ci conto molto, e faccio buon sangue egualmente. Urrà!”
“Non tanto chiasso! “ fece la sentinella.
“Posso fare quanto chiasso mi pare e piace! “ rispose il viaggiatore:
“Sono il Principe Carnevale, e viaggio incognito sotto il nome di Febbraio”.
Scese il terzo. Era magro come la Quaresima, ma stava impettito perché era parente dei Quaranta Cavalieri danesi, faceva lunari e prevedeva il tempo e le stagioni. Il mestiere, però, non era troppo lucroso, ed ecco perché consigliava tanto i digiuni. Portava all’occhiello un mazzolino di violette, ma piccine piccine e stente.
“Don Marzo, Don Marzo!” gli gridò il viaggiatore sceso dopo di lui, e gli batté sulla spalla: “Non senti che buon odorino? Va’ subito nella saletta dei doganieri: stanno bevendo un ponce, la tua bevanda prediletta. L’ho sentita alla fragranza. Corri, corri, Don Marzo!”
Ma non era vero niente; colui che parlava non voleva se non fargli una burla, uno dei suoi famosi pesci, perché aveva nome Aprile, e col primo pesce cominciava la sua carriera nella città. Sembrava molto allegro; lavorava poco, perché aveva più vacanze di tutti. “Basterebbe che ci fosse un po’ più di stabilità a questo mondo! “ disse.
“Ma talvolta siamo di umore gaio; tal altra uggioso, secondo le circostanze. Ora piove, ora fa sole; ora si sgombera, ora si torna. Io tengo una specie di agenzia di collocamenti, fitti e vendite, ed ho anche l’impresa dei trasporti funebri. Rido o piango, a seconda del momento. In questa valigia ho i miei vestiti da estate ma non sono tanto sciocco da mettermeli Eccomi qui! La domenica vado alla messa con le calze di seta a trafori e col manicotto”.
Dopo di lui, scese una giovinetta. Aveva nome Maggiolina, portava un leggero vestito da estate, d’un verde tenero e, sopra le scarpette, un paio di galosce. Nei capelli aveva un mazzolino di anemoni bianchi ed era tanto profumata di timo, che la sentinella starnutì.
“Dio vi benedica!” esclamò la fanciulla; e quello fu il suo saluto.
Com’era bella! E come sapeva cantare! Non era cantatrice da teatro, né da camera; era cantatrice di bosco, perché andava errando lietamente per la verde foresta e cantava per suo piacere. Nella borsetta da lavoro aveva due libriccini: Le incisioni di Christian Winther, perché sono come il bosco di faggi, e Le piccole poesie di Richardt, che sono come le stelline odorose.
“Ora arriva la signora, la giovane signora!” gridarono da dentro la carrozza, e così uscì la signora, giovane e snella, fiera e graziosa. Si vedeva subito che era nata per festeggiare i “sette dormienti”. Teneva un banchetto nel giorno più lungo dell’anno perché si avesse il tempo di mangiare le molte portate; poteva permettersi di viaggiare in una carrozza tutta sua, ma arrivò con la diligenza come gli altri, in tal modo voleva dimostrare di non essere altezzosa; del resto non viaggiava da sola, era accompagnata dal fratello minore Luglio.
Era questo un giovanotto grassoccio, vestito d’estate, con un grande cappello Panama. Non aveva che poco bagaglio, perché col caldo tutto dà noia, per ciò non portava con sé che le mutandine da bagno e quelle gli davano poco ingombro.
Poi arrivò madama Agosto, fruttivendola all’ingrosso, proprietaria di molti vivai di pesci, contadina in crinolina; era grassa e calda, partecipava a tutto, andava in giro con la botticella della birra fra la gente nei campi. “Con il sudore della fronte mangerai il pane” disse, “sta scritto nella Bibbia; poi si può anche fare il ballo nel bosco e la festa per il raccolto!” Era madama Agosto.
Poi scese ancora un uomo, pittore di professione, il maestro del colore, al bosco veniva detto che le foglie dovevano cambiare colore quando lo voleva lui, ma doveva essere bello; subito il bosco diventava rosso, giallo, marrone. Il maestro fischiava come lo storno nero, era un buon lavoratore e attaccava i pampini verdebruni di luppolo al suo boccale della birra, era un ornamento e lui aveva occhio per gli ornamenti. Eccolo lì con il suo vaso di colori, che era tutto il suo bagaglio.
Lo seguiva un signore di campagna, che pensava al mese della semina, all’aratura e ai lavori della terra- be’ anche un po’ al divertimento della caccia. Il conte Ottobre aveva con sé cane e fucile e la carniera piena di noci, che facevano un rumorino secco quando camminava. Portava un bagaglio di dimensioni incredibili, aveva persino un aratro di fabbrica inglese; e non parlava che di agricoltura, ma a mala pena si sentiva quel che diceva per la gran tosse e le rumorose soffiate di naso del suo vicino.
Quegli che tossiva così era Novembre, molto seccato da una tremenda infreddatura: tanto che portava un lenzuolo invece del fazzoletto. E, nonostante l’infreddatura, gli toccava andar in giro con le nuove cuoche e le domestiche, per condurle a far le provviste ed insegnar loro il servizio d’inverno. Diceva che si sarebbe liberato dai suoi malanni andando al bosco a far la legna: doveva spaccarla e segarla, perché era Gran Guardiano della Confraternita dei segantini e fornitori del focolare. Passava la sera a intagliare suole di legno per i pattini, perché sapeva bene, diceva, che tra poche settimane ci sarebbe grande richiesta di quel genere di calzature.
Infine comparve l’ultimo viaggiatore, il vecchio Nonno Dicembre, con lo scaldino in mano. Era tutto intirizzito, ma gli occhi gli brillavano vividi come due stelle e teneva tra le braccia un vaso di fiori, dove cresceva un piccolo abete. Diceva: “Avrò cura di quest’alberello, perché cresca bene, e per la sera di Natale possa arrivare con la vetta a toccare il soffitto e cresca con le candele accese, le mele dorate e i ritagli. Questo scaldino manda un calore, che pare una stufa… e io tiro fuori il libro delle fiabe e leggo ad alta voce così che tutti i bambini nella stanza rimangono in silenzio. E allora le figurine dell’albero di Natale diverranno vive, e il piccolo angelo di cera spiegherà le alucce di stagnola dorata e volerà giù dalla vetta dell’albero e bacerà grandi e piccini, tutti quelli che sono nel salotto caldo, ed anche i poveri bambini che stanno fuori, in istrada, e cantano il canto di Natale della stella di Betlemme”.
“Bene; ora la diligenza può andare!” disse la sentinella: “Tutti i dodici passeggeri sono scesi. Frusta cocchiere!”
“Prima bisogna che i dodici viaggiatori vengano qui da me!” disse il Gabelliere.
“Uno per volta! I passaporti restano a me. Ognuno è valido per un mese; finito il mese, scriverò sul passaporto le generalità e le note a seconda della loro condotta. Prego signor Gennaio, entrate pure!”E così entrò.
Finito l’anno, cari lettori, credo che sarò in grado di dirvi quello che i dodici viaggiatori avranno portato in dono a me, a voi, a tutti. Ora non lo so, parola d’onore; e sto per dire che forse non lo sanno nemmeno loro. Si vive in certi tempi cosi curiosi!

Franca – Auguro a tutti Voi un meraviglioso nuovo anno!

1 Commento a “Arrivano i dodici – Andersen”

  1. Margherita scrive:

    E’ bellissimo ! come si vede che hai una nipotina a cui raccontare filastrocche e magiche fiabe che fanno molto bene non solo ai piccoli.
    Se tutti i nonni potessero farlo si accenderebbe di più la fantasia dei nostri bambini ………che poi saranno ragazzi ……………che poi saranno adulti !!

    TANTISSIMI AUGURI A TUTTI PER UN 2016 PIENO DI SALUTE E PACE!!

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