Giornata della Terra

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Oggi in 190 paesi del mondo oltre un miliardo di persone celebra la terra.

E in questa ricorrenza mi sembra indicato inserire questo racconto presentato a Moncalieri già nel Marzo scorso.

Vuole essere una testimonianza sulla sensibilità di alcune categorie di giovani di fronte ai problemi della devastazione del territorio,  in contrapposizione ad altre generazioni che tendono  a privilegiare argomenti goliardici, surreali, mangerecci…continuando a far finta di niente.

SI PARTE DAL PRATO VERDE

La sala riunioni era gremita. Tutti seduti e allineati con l’ormai inseparabile personal computer. Ognuno lavorava, o almeno fingeva di farlo, assumendo quell’atteggiamento da manager impegnato, adatto al ruolo che ricopriva.

Il presidente entrò tallonato dall’immancabile  consulente in abito gessato, che con il sorriso prestampato e statico, metteva in bella mostra una dentatura  da riporto, tipo squalo, in sintonia con la propria funzione.

Il Presidente, come amava farsi chiamare (lo trovava davvero gratificante) era in realtà il proprietario dell’azienda.

“Signori” esordì , dopo aver sortito il consueto silenzio reverenziale, “come ben sapete siete qui convocati per importanti scelte strategiche da adottare per la nostra azienda”

Elena, la giovane responsabile Marketing, volse gli occhi al soffitto e la sua eloquente espressione si poteva tradurre nella nuvola da fumetto che si formò  nell’aria: “quando il

Presidente esordisce con  la nostra azienda, marca male”.

“Mi aspetto che ognuno di voi presenti il proprio piano secondo le direttive contemplate nell’ordine del giorno che vi ho fatto pervenire “  continuò.

Scambio di occhiate  espressive tra i vari responsabili, dal chiaro significato:  “vai avanti tu che sei più importante e intanto io prendo fiato e coraggio”.

Iniziò il responsabile della produzione snocciolando dati e numeri collegandosi con il proprio PC direttamente alla lavagna  luminosa,  secondo le moderne tecnologie informatiche.

Seguì il direttore amministrativo, visibilmente consapevole dell’importanza del suo ruolo: le sue informazioni erano strategiche e rivelavano l’attivo e il passivo dell’azienda, la vittoria o la sconfitta, la speranza o la delusione. Si prese tutto il tempo necessario per guardarsi attorno, al di sopra degli occhialini, poi gonfiando il petto, sadicamente assunse un’espressione seriosa per comunicare alla fine che tutto funzionava. Il sospiro di sollievo, generale e liberatorio, testimoniò come la tensione fosse fin lì palpabile.

Venne il turno di Elena “l’immagine che l’azienda riveste sul mercato nazionale e internazionale è ……”Partiremo dal prato verde” esordì il segugio col gessato interrompendo la presentazione  di Elena che non fece nulla per mascherare il suo evidente disappunto.

“non ho bisogno di proiettare nulla, basta osservare questo disegno: il nuovo fabbricato sorgerà in quest’area strategica dal punto di vista logistico, e lì partiremo da zero con una nuova organizzazione e un nuovo modo di lavorare”

“Villano di un consulente  in-gessato” pensò Elena  “e poi che modi! Forse perché sono la sola donna presente:  certo,  ai suoi tempi le donne non erano proprio considerate!”

“L’azienda riceverà il manufatto da altre aree geografiche, Asia in particolare. A sinistra arriverà il materiale, nel fabbricato noi lo controlleremo, lo imballeremo con il nostro marchio e a destra uscirà  il prodotto finito da spedire ai nostri Clienti “, continuò il consulente, e via di seguito a illustrare le numerose operazioni che sarebbero seguite per collocare sul mercato un  prodotto competitivo oltre che valido.

“Chiaro e facile! “  Concluse. – “Ci sono osservazioni?”  Seguì un silenzio carico di tensioni dopo che alcuni avevano velocemente bisbigliato  mettendo la mano davanti alla bocca, quasi a nascondere  il loro divergente punto di vista.

Elena pensò che ancora una volta il mercenario in-gessato aveva elaborato un piano facile a dirsi ma non altrettanto a farsi, a lui poco importava, poiché  la parte attiva non gli competeva.

E prese la parola “ Non è una novità.  Già negli anni ottanta del secolo scorso i giapponesi per superare i dazi europei avevano inventato le cosiddette fabbriche cacciavite, che tanto danno hanno creato alle nostre aziende”.

“Cosa vuole sapere lei che all’epoca non era ancora nata. Vuole forse insegnarmi il mio mestiere?” ribadì l’uomo  piuttosto risentito.

“L’immagine aziendale sarà alterata, con pesanti ricadute sul piano commerciale ed economico” reagì Elena, con lo sguardo serio e la voce decisa di chi sfida il mondo con il coraggio di esporre la propria opinione.

Fu il Presidente a interrompere la discussione invitando tutti i partecipanti a farsi carico di quanto competeva a ognuno nel proprio ambito.

La riunione terminò con Elena  furibonda, era stata l’unica a contrastare il consulente. Tutti gli altri colleghi avevano taciuto.  Si era fatto ormai tardi, la giornata di lavoro volgeva al termine.

Tornò a casa. Se si può definire casa l’angusto monolocale che aveva preso in affitto, per essere vicina al posto di lavoro e dal quale si allontanava solo nel fine settimana per ritornare alla sua vera casa, lontana un centinaio di chilometri.  Poco più che trentenne, le costava sacrificio, economico ed esistenziale, ma si adattava di buon grado: quel lavoro la entusiasmava e le piaceva.

“Partire dal prato verde” che idea  assurda ! Non aveva appetito, andò a dormire ma il sonno non  arrivava.  Continuava a rimuginare  “ altro spreco di terreno, altre persone che perderanno il lavoro. Il semilavorato che arriverà dall’Asia (i ciucia-en-ciò ci hanno sopraffatti) significa il licenziamento di decine di operai in Italia. Questo è ovvio, anche se nessuno l’ha accennato. Che razza di ingiustizia…” e continuò a rigirarsi nel letto.

“Le statistiche dicono che in dieci anni in Italia è stata cementificata una superficie uguale alla Calabria. Lo stabilimento c’è, esiste. Perché rovinare quel poco di verde che ancora rimane?”

Si ricordò che quand’era piccola sapeva esattamente perché il sonno arrivava. Era l’uomo della sabbia che spruzzava sabbia fine-fine negli occhi e le palpebre si appesantivano,  si chiudevano e ci si addormentava.  “Avido uomo in-gessato,  non può andare in pensione come i suoi coetanei invece di fare danni?  Alcuni nel loro delirio di onnipotenza   perdono il senso della misura. Troppo comodo accanirsi contro i deboli per ridursi invece a zerbino con i  potenti  sperando di condividerne i privilegi”

Piuttosto che a un manager si sentiva di paragonarlo a un illusionista. Poiché un illusionista può ingannare uno scienziato, ma non può ingannare un altro illusionista.

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La cascinotta era ordinata e pulita, Mariuccia, unica superstite in quel luogo, era una donna semplice, vestita da contadina, portava un foulard che le copriva i capelli e indossava l’immancabile grembiulino che le risparmiava il vestito per quanto modesto.   Teneva qualche gallina rinchiusa sotto la grande tettoia dove un tempo si ammassavano fieno, frumento e paglia.

Nella stalla, ormai vuota, c’erano alcune gabbie di conigli, non che ne avesse bisogno per campare, ma quegli animali le tenevano compagnia, le ricordavano i bei tempi quando nel cascinale la vita ferveva, si lavorava in pieno e con il marito, buon’anima, si crescevano i figli e si raccoglievano i prodotti che quella terra, buona e grassa, forniva.

Allevavano anche il bestiame e la loro piccola azienda non li aveva mai delusi. Gli affari andavano bene, tanto che ebbero la possibilità di comprare alcuni terreni confinanti..

Ora che il marito non c’era più e i figli avevano  scelto un’altra attività, tutto era cambiato.

Negli anni alla cascina erano arrivate auto di grossa cilindrata dalle quali erano scesi faccendieri con i loro abiti gessati.  Volevano comprare i terreni per costruirvi  capannoni.

Mariuccia non avrebbe voluto cedere le sue proprietà, ma i figli… E le nuore, quelle “assatanate” di soldi.

Prima vogliono l’alloggio in città, poi quello al mare,  poi il SUV per andare a fare la spesa…Che spreco, che mondo!

Così, un po’ per volta, i terreni erano rimasti pochi. Al loro posto erano sorti capannoni. Cosa ci facevano lì dentro poi,  era un mistero!  Molti sembravano inutilizzati,  in altri si vedevano arrivare grossi camion da tutti i paesi del mondo che scaricavano e ricaricavano merci.  Di sera  era tutto fermo e abbandonato,  c’era da aver paura.

Per questo, quando il sole tramontava,  Mariuccia si chiudeva in casa, dove un vecchio fabbro aveva rinforzato l’uscio e installato le inferriate alle finestre. E lì aspettava, cercando di dormire, l’alba del giorno dopo.

Nel fortilizio di Mariuccia, trovava spazio soltanto Jack,  un cane meticcio non bello, forse neanche tanto intelligente, ma affettuoso ed educato, non sporcava in casa e soprattutto non mangiava le galline.

Quella notte un pensiero fisso e doloroso la tormentava al punto da non farla dormire. L’idea di vendere il prato lungo, era per lei una tragedia: l’ultimo vero terreno ancora integro. Lo faceva coltivare da un vecchio parente,  non lo avrebbe venduto per nulla al mondo, ma Laura  “quell’assatanata” di sua nuora,  aveva  turlupinato il marito al punto che, per la pace in famiglia,  anche Mariuccia capitolò.

Fu così che, suo malgrado, ricevette  la visita di un signore, non più giovane ma elegante e distinto nel suo abito gessato. Mariuccia firmò il compromesso  e ne ebbe in cambio un assegno di acconto che, manco a dirlo, finì nelle mani della nuora. A lei non rimase che guardare malinconicamente il terreno che ormai non le sarebbe più appartenuto.  Così va spesso il mondo…

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“Devo prendere un caffè prima di iniziare il lavoro, soprattutto dopo la notte insonne appena trascorsa” pensò Elena avviandosi alla macchina del caffè posta nel corridoio degli uffici.

Alfredo, il responsabile informatico, con fare da cospiratore,  le si avvicinò dicendo “Ieri sera ti ho apprezzata per il tuo intervento, non potevo appoggiarti perché, come sai, sono assunto a progetto e il mio posto di lavoro è precario, però ti garantisco che tutti i presenti erano dalla tua parte . Quel consulente  è  davvero un opportunista. “  “E come tutti i consulenti ha fatto l’illusionista” fu la replica di Elena, mentre progettava mentalmente di chiedere  al Presidente  maggiori delucidazioni . Così fu.

Il Presidente, con modi molto cordiali le spiegò che la riorganizzazione aziendale prevedeva la costruzione di un nuovo capannone che con le agevolazioni di legge non gli sarebbe costato nulla. Una società si sarebbe interessata a procurare il terreno e lui avrebbe ceduto, a sua volta , l’attuale stabilimento per la costruzione di un supermercato e abitazioni varie.

Elena esternò, senza indugio, il suo timoroso sospetto : “non potrebbe essere una grande speculazione edilizia voluta dal consulente ?”.  “Lo escludo, ho grande fiducia in lui. “

Fu organizzata una verifica sul posto alla quale Elena partecipò. Era quasi mezzogiorno quando arrivarono .  C’erano molti capannoni e in mezzo ad essi un bel campo coltivato a grano e,  data la stagione,  molto verde.

Elena immaginò i bulldozer che da lì a poco tempo avrebbero fatto scempio di tutto quel verde.

Mentre si inumidivano gli occhi vide una donna anziana scortata da un cane, anzi un brutto cane, dall’aria mite.  Si avvicinò, allungò la mano per accarezzarlo ma il cane intimidito si nascose dietro la padrona che guardandola dritto negli occhi disse: “Lei è una di quelli che vogliono comprare il terreno?  Cosa volete fare?  Altri capannoni?  Alla fine voi giovani dovrete sfamarvi con i capannoni e il loro cemento. Allora sì che vi divertirete, ma noi purtroppo (o per fortuna ) non ci saremo più.”

Elena si sentì percossa e frustrata nelle sue convinzioni.

“Venderò il terreno a quel  signore laggiù, ho già stipulato il compromesso,  per i capricci di mia nuora, una giovane come lei, sempre alla ricerca di denaro, quel denaro…

“A chi venderà il terreno?” trasalì  Elena “A quel signore in-gessato” rispose Mariuccia.

I sospetti di Elena presero consistenza. L’uomo che aveva la fiducia del presidente  non era che uno squallido speculatore.  Si consolidava l’idea di trovarsi in un mondo corrotto, privo di ogni etica, impantanato sempre più nella palude viscida e insidiosa del denaro dove chi riveste ruoli strategici, continua spudoratamente a raschiare il barile. Un’altra frase si insinuò nella sua mente “L’avidità è un pozzo senza fondo, che esaurisce la persona nello sforzo incessante di soddisfare il bisogno senza mai raggiungere la soddisfazione” (E. Fromm)

La corsa sfrenata al successo, il solo tornaconto personale, il cinismo, l’egoismo, hanno svuotato le persone di tutti i valori.  Si è persa anche la capacità di indignarsi e commuoversi.  Il rispetto, la tutela del futuro e di quel poco che è rimasto, sono considerate debolezze, mere utopie di gente fanatica. Non più sentimenti ma solo materialismo.

Forse fu solo la voce dell’ideologia giovanile, o semplicemente del buon senso quella che Elena percepì forte e chiara,  ma era una voce vera.

“Io non mi rassegno” fu la sua reazione istintiva. E con passo deciso, ben attenta a non calpestare il tenero grano appena spuntato,  s’avvio verso il Presidente.

Daniela Boscarato

2 Commenti a “Giornata della Terra”

  1. gaspara scrive:

    brava Daniela e brava anche perchè tieni vivo il blog, io quest’anno sono proprio pigra!

  2. FRANCA scrive:

    Occasione perfetta, quella della giornata mondiale della terra, per pubblicare il tuo racconto che risulta sempre così tragicamente amaro in quanto vero!
    Come disse Gandhi “Sulla terra ce ne è abbastanza per i bisogni di tutti ma non per l’avidità di alcuni”.
    Nessuno soffrirebbe la fame o la sete se fossimo tutti responsabili e disposti a dividere.
    Nella democrazia della Terra, la diversità sarà la condizione per la pace e la cooperazione.
    Nella democrazia della Terra, la nostra identità fondamentale sarà quella di cittadini della terra, parte della famiglia allargata di tutte le specie e di tutti gli esseri attualmente divisi da conflitti e guerre basati sulla razza e la religione.

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