Tributo a Giuni Russo

Stavo ascoltando su You tube alcune vecchie canzoni napoletane, quando mi imbatto in una canzone che apparentemente non conosco “Santa Lucia luntana”, non la classica “Santa Lucia”: Sono curiosa di sentirla e mi collego alla versione cantata da  Beniamino Gili . In realtà scopro che conosco la canzone, ma non ne conoscevo il titolo: é una canzone struggente che parla di emigranti napoletani, in partenza per l’America, provati da una profonda nostalgia per la loro città. Santa Lucia è l’ultimo borgo di Napoli che vedono prima che la nave prenda il largo verso il mare aperto. Nel 1926 Roberto Roberti (in arte), al secolo Vincenzo Leone, padre di Sergio Leone, regista, da noi più conosciuto, aveva prodotto un film intitolato “Napoli che canta”, un film muto che mostrava bellissime immagini di una Napoli che non esiste più, volti di languide ragazze dagli splendidi occhi sognanti, ma anche immagini di una città povera, segnata dal degrado, che costringe i suoi figli ad emigrare verso terre lontane. Il film fu proiettato con sottotitoli in inglese in America, ma come si può immaginare, la pellicola fu presto ritirata dal mercato, perchè non gradita dal regime fascista. La pellicola fu dimenticata per anni, fino a quando Elinor Leone, nipote di Vincenzo, ormai anziana, decide di donare la stessa alla George Eastman House International Museum of Photography and Film di Rochester, ‎NY, e nel 2003 il dipartimento cinematografico dell’istituto americano, diretto dal nostro Paolo ‎Cherchi Usai, completò il restauro della pellicola, presentandola alle Giornate del Cinema Muto di ‎Pordenone con l’originaria colonna sonora tutta interpretata dalla splendida voce di Giuni Russo, splendida artista italiana.

Dichiaro la mia ignoranza, ma non conoscevo la cantante. Ho cercato, incuriosita, volevo  trovare il video di “Santa Lucia Luntana”, cantata da Giuni, ma non l’ho trovato. In compenso ho scoperto la grandezza di questa figura artistica, capace di creare con la sua voce emozioni uniche.

Giuseppina Romeo, in arte Giuni Russo, era figlia di Pietro Romeo e Rosa Gauci, penultima di dieci  figli avuti dalla coppia. Nata a Palermo il 10 settembre del 1951, da padre pescatore e madre casalinga. Il padre usciva tutte le mattine in barca e aveva un banco del pesce nel mercato di Borgo Vecchio a Palermo. Giusy sarà l’unica dei numerosi figli che sogna una vita diversa. A pochi anni è già consapevole del suo talento: una magnifica voce, ed é per questo che la bambina vuole diventare una grande cantante e dedicare la sua vita all’arte.

In casa appena nata, viene affidata alle cura della sorella Anna, di nove anni, in quanto la madre, quarantenne deve occuparsi della gestione  della casa, dodici bocche da sfamare, uno dei figli é già fidanzato in casa. Il padre é orgoglioso della sua famiglia, é un uomo generoso, gran lavoratore, non perde occasione per invitare a cena i turisti che accompagna in barca, e la madre nonostante le ristrettezze riesce sempre a preparare per tutti. In queste circostanze la madre, che ha una passione per la lirica, e possiede una splendida voce, sollecitata dai familiari e dagli ospiti si esibisce in bellissime romanze e armonie napoletane. Uno dei cavalli di battaglia é appunto “Santa Lucia luntana”, che Giuni canterà con tanto ardore, anni dopo.

A undici anni si iscrive ad un corso di chitarra al Conservatorio; vive vicino al Politeama, grande teatro di Palermo e tutti i pomeriggi si reca ad ascoltare le prove dei cantanti lirici. Più che mai decisa a seguire il suo sogno si fa assumere per due ore al pomeriggio in una fabbrica di bibite vicino a casa. I soldi che guadagna li usa per prendere lezioni di canto dal maestro Gaiezza, famoso a Palermo per seguire i più grandi cantanti lirici. Dopo la prima audizione, il maestro decide di accettarla come allieva perchè capisce che fa sul serio. Per i primi tempi si fa pagare, ma poi giungono ad un compromesso: Giusy l’accompagnerà nei vari saggi che il maestro tiene nelle scuole e istituzioni della città. Il maestro aveva capito subito che Giusy non cercava di imitare nessuno, ma aspirava ad uno stile personale.  I genitori non avevano tempo per seguirla,  Anna, la sua mamma bambina era morta a undici anni per una meningite fulminante, ma in fondo questa condizione di solitudine, le permise di effettuare le scelte che voleva in autonomia. Partecipò a varie manifestazioni canore, sbaragliando sempre i concorrenti con la potenza della sua voce. Ottenne a tredici anni una scritturazione da solista al Politeama, durante l’estate, per la cifra di tremila lire: doveva accompagnare i vari gruppi che si alternavano sul palcoscenico con la sua voce. La famiglia non era al corrente di questo suo percorso, pur conoscendo la sua passione per la musica.Giusy invitò il padre la prima domenica della manifestazione, esibendosi davanti ad una sala gremita, ed ottenne un successo strepitoso. Da allora il padre la appoggiò nelle sue scelte, apprezzando i sacrifici che aveva fatto per pagarsi le lezioni dal maestro. Nel 1966 a quindici anni si presentò a Castrocaro e vinse tutte le selezioni regionali, ma a Forlì, pur apprezzando la sua voce, la considerarono troppo piccola per esibirsi e la scartarono, invitandola a presentarsi il prossimo anno. Giusy rimase delusa e l’anno dopo non voleva più presentarsi, ma la sorella insistette. Le furono assegnati due brani:” A chi” di Fausto Leali, e “Nel sole”  di Albano, perfetti per la sua voce. Il pubblico trasalì quando nel teatro Giusy cominciò a cantare, apprezzando la sua voce, ma anche la sua freschezza e la sua passione. Giunse al primo posto. Per tradizione poteva scegliere una madrina, e Giusy scelse Caterina Caselli. Ottenne una scritturazione dalla Emi, un’importante casa discografica e la certezza di parteciapre l’anno dopo a Sanremo. Giusy era al settimo cielo, non si accorse delle lunghe ore in treno per ritornare alla sua terra, dove fu accolta con trionfo e affetto dai suoi concittadini. A Sanremo, l’anno dopo, qualcuno propose di farla cantare in coppia con Louis Amstrong, ma poi la scelta cadde su un brano di Paolo Conte “No amore” in coppia con Sacha Distel, più conosciuto come boy friend di Brigitte Bardot. Un brano jazz, molto francese, poco adatto alla manifestazione canora. Giusy fu eliminata. Grande delusione. Presentò altre canzonette al Festivalbar, al Cantagiro, con discreto successo, ma non all’altezza delle aspettative. La sua vita era divisa tra Milano e Palermo, sola senza più la sorella che l’accompagnava, pur avendo solo diciasetteanni, si sentiva  lontana da quella gioventù che manifestava davanti all’università e  che voleva cambiare il mondo: lei voleva solo cantare. Nel 1969 festeggiò il capodanno in Canada, sempre in tournée con la Emi. Fu poi scritturata, su segnalazione di Claudio Villa, che apprezzava la sua voce, per un tour in Giappone con un altro cantante italiano. Il tour prevedeva un tot di serate e la durata di tre mesi, i ritmi erano massacranti e la fatica improba, ma ciò che fece interrompere la tournée da parte di Giusy fu l’onore italiano oltraggiato. L’impresario giapponese considerava il popolo italiano un popolo di pigri, ma quello che urtò profondamente Giusy fu che nel contratto l’impresario aveva fatto inserire una clausola che lo tutelava da eventuali furti che i due artisti italiani avessero compiuto, viste le abitudine dei loro connazionali. Giusy prima di partire si era fatta tradurre dall’inglese le parti più significative del contratto, ma poi in Giappone  dopo due mesi, rileggendo il testo aveva scoperto l’affronto e aveva deciso di rientrare immediatamente in Italia, avendo terminato le apparizioni prima del tempo.

A Milano, intanto aveva conosciuto Antonietta Sisini, di un anno più vecchia di lei, di origine sarda. La ragazza viveva a Milano da parecchi anni, con la madre, dopo il divorzio dal padre. Anch’essa suonava la chitarra ed era un’appassionata di musica, suonava e cantava in un complesso musicale, ma dopo che ebbe ascoltato Giusy cantare la prima volta, non si esibì mai più in pubblico, perché nessuna voce poteva competere con quella dell’amica. Le due ragazze divennero inseparabili e compagne nella vita. La madre di Antonietta accolse Giusy a casa come una figlia, e Giusy la ricambiò con altrettanto amore.

Intanto la gavetta continuava, si moltiplicarono le serate e tante furono le porte alle quali le ragaze bussarono per farsi accettare qualche brano di loro composizione. Ottennero collaborazioni e scritture diverse con artisti di pregio, quali Franco Battiato, con il quale instaurarono un bellissimo rapporto di collaborazione e di amicizia. Giunsero anche ad un contratto con la CGD, importante e potente casa discografica italiana, diretta da Stanislao Sugar, padre di Piero, marito di Caterina Caselli, la madrina di Castrocaro della Russo. Giuni (nel frattempo aveva modificato il nome ) firmò un contratto per cinque anni con la casa, che si dimostrò con il tempo capestro: l’artista si  impegnava a cantare le canzoni che le venivano proposte, a promuoverne le presentazioni, a partecipare alle varie manifestazioni canore, a seguire le torunée  e anche dopo la risoluzione del contratto la Russo avrebbe dovuto riconoscere alla casa discografica una percentuale sui futuri guadagni, a fronte di nuovi ingaggi. L’inesperienza delle ragazze e l’entusiasmo di essere giunte ad una scrittura, fece loro sottovalutare l’ importanza di certe clausole. I successi non mancarono, come “Un’estate al mare”, “Alghero”, “Limonata cha cha”, “Mediterranea”, alcuni album di pregio, ma la strada che Giuni voleva percorrere era di ricerca, di sperimentazione della voce,  di musica di confine, mentre la casa puntava solo su successi commerciali visibili ed immediati. Ben presto i disaccordi si intensificarono sino a giungere ad una chiusura definitiva dei rapporti due anni prima della scadenza del contratto. Risoluzione non indolore, di lì in avanti Giuni trovò solo porte chiuse. Ma il suo orgoglio e la sua determinazione non le impedirono di seguire la sua strada, portandola dalle balere estive alla ricerca di un senso più profondo dell’esistenza, sino alla composizione di testi musicali sacri di tutte le religioni del mondo. Nel 2003 si presentò a Sanremo, già segnata da un tumore che combatteva da anni, con una canzone  “Morirò d’amore”, quasi a voler segnare il suo addio e che non fu capita come avrebbe dovuto. Morì nel 2004 a soli 53 anni, accudita fino alla fine dei suoi giorni dalla compagna inseparabile Antonietta, che continua ancora oggi a promuovere la sua figura e il suo talento.

Vi invito ad ascoltare la sua voce, splendida ed unica e a leggere la sua bibliografia che Bianca Pitzorno ha scritto con rispetto e serietà per Lei.

Franca Furbatto

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