Matita rossa e blu

Nel corso della nostra vita, con una buona dose di fortuna, ci può succedere di conoscere persone che spiccano tra le altre senza avere, per forza, quelle precise caratteristiche richieste dai tempi in cui viviamo. Al contrario le loro esistenze si srotolano, giorno dopo giorno, tra le pieghe di una quotidianità comune alla maggior parte dei luoghi, indipendentemente dalle loro dimensioni. I vantaggi di vivere in un centro, né troppo grande né troppo piccolo, dove le relazioni interpersonali sono meno complicate, fanno sì che il tessuto urbano diventi via via sempre più solido.

Può accadere che le persone straordinarie ricoprano ruoli importanti, a loro stessa insaputa, fino a rappresentare un punto fermo per l’intera collettività. Credo si debba sempre tener presente che, dietro la porta di ogni abitazione, si cela un piccolo universo traboccante di idee che circolano anche a beneficio di chi si avvicini ed entri in quella casa.

La signorina R. si sposta raramente e quasi mai oltrepassa i confini del paese, dove inizia la campagna. Non ce n’è bisogno; ogni pomeriggio quando apre il portone della sua casa che si trova in centro, un nugolo vociante di ragazzini si infila nella stanza adibita ad aula, che si trova al piano terra. Il suo è un piccolo mondo, se ragioniamo in termini puramente spaziali e considerando la sfera d’azione in cui opera ma, credetemi, molto grande dal punto di vista dei contenuti. Tutti i giorni, con l’arrivo degli allievi, ciò che si riversa su di lei è paragonabile ad un torrente in piena.

Informazioni di ogni genere, curiosità, notizie, commenti e mugugni si fanno strada attraverso il vecchio muro prospiciente la via principale. Un rituale che si rifà e funziona come un vero “tam-tam” stavolta di fattura italica. D’altro canto la sua affabilità e disponibilità ad ascoltare e saper cogliere le confidenze della gente fanno sì che per molti di noi sia diventata un punto di riferimento. In passato in quella stanzetta ha preso posto anche qualche adulto con la necessità, impellente, di recuperare gli anni perduti per conseguire un diploma, sfuggito per mancanza di tempo o di mezzi. Credo sarebbe molto difficile poter dire quante siano state, finora, le generazioni che si sono avvicendate su quei “banchi”, tutte accomunate da un unico scopo: spendere bene quel tempo per recuperare le troppe ore perse o sciupate a scuola, come spesso si tende a fare a certe età. Genitori e nonni le hanno sempre affidato i loro rispettivi figli e nipoti con l’assoluta certezza che i buoni risultati non si sarebbero fatti attendere.

Nel corso della mia carriera scolastica anch’io ho fruito del suo aiuto, intendiamoci, senza peraltro far sì che in seguito io potessi amare la ragioneria. Un’impresa del genere non è riuscita a nessuno. Tuttavia ero certa che per rimediare mi sarebbero bastate le sue spiegazioni, così semplici, chiare e talmente efficaci da produrre su di me un effetto paragonabile ad un’iniezione di fiducia. Oserei dire che era riuscita persino a mutare il mio atteggiamento verso quella materia così detestata, infondendomi un cauto ottimismo che, vi lascio immaginare, è durato qualche mese appena.

È per questo motivo che quando a volte si parla di “vere istituzioni” non posso fare a meno di pensare a lei, figlia di una borghesia d’altri tempi. Il padre, veterinario, era allora di diritto considerato un notabile del paese, pertanto, come spesso succedeva tra i ceti medio alti, le ragazze venivano indirizzate all’insegnamento. Devo dire che, da parte sua, è stata una vocazione abbracciata con slancio, tale da diventare una vera missione, senza peraltro mai spostarsi dalla sua dimora abituale. Insomma “un’insegnante” che per insegnare non ha mai avuto bisogno di una scuola vera.

Se rifletto sul suo stile di vita mi viene in mente l’aggettivo “autarchico” senza per questo volere da parte mia restringere troppo il significato del termine in quanto, associarlo alla sola idea di autosufficienza economica, sarebbe un errore. La filosofia di vita della signorina R. si rifà, nel concepire l’esistenza, a modalità di tempi ormai molto lontani da noi, di quando non si sentiva la necessità di circondarci di troppe cose inutili e dalle quali tutti noi ora dipendiamo senza potercene più liberare. Il suo modo così sobrio di concepire il quotidiano è quasi come se il tempo per lei si fosse fermato agli anni più difficili di un passato che pochi di noi rimpiangerebbero, abituati come siamo ad avere il “superfluo” a portata di mano.

Vi è nella nostra cittadina un appuntamento annuale nel corso del quale vengono esposte le cosiddette foto d’epoca. Visitare la mostra permette di rivivere attraverso le immagini del passato momenti unici perché dimenticati e significa avere l’opportunità di riconoscere i propri concittadini in bimbetti ormai diventati nonni, con fiocco e grembiulino in posa accanto alle suore dell’asilo. La signorina R. vi compare in una foto in compagnia di due amiche ed è riconoscibile per via dell’identico sorriso che ha conservato nel tempo. Anche i riccioli sono gli stessi, la differenza sta solo nel colore.

Molti anni fa è mancata la sua mamma, una signora amabilissima proprio come lei e per me è stata l’occasione per farle visita e salire al piano di sopra. Appena entrata mi ricordo di aver pensato a quanto l’intera ambientazione di quella stanza somigliasse al Meleto, la villa del Gozzano che ho avuto la fortuna di visitare. Le mie non sono state semplici suggestioni, piuttosto ho provato una sorta di piacere di ritrovarmi in stanze arredate in giorni lontani e con un gusto che si rifaceva ad un altro secolo.

Fin da subito ho avuto la netta sensazione che in quella stanza ogni oggetto occupasse il proprio posto da tempo immemorabile, preservando così una particolare atmosfera che si respira solo in certe case. È come se la polvere che si era depositata su mobilio e suppellettili avesse il preciso compito di custodire per sempre il prezioso involucro, in questo caso la sua famiglia o quel che ne era rimasto, con tutto l’amore, i ricordi e gli affetti di una vita.

La protagonista del nostro racconto continua a portare avanti la propria missione da ormai settant’anni e va ben oltre le materie scolastiche e la semplice didattica.

Ho spesso immaginato che la signorina R. da sempre indossi i panni di un personaggio d’altri tempi, direi ottocentesco; oggi, con i suoi ottantasette, anni potrebbe a buon diritto entrare fra le pagine di Edmondo De Amicis in compagnia della signorina Eugenia Barruero, la maestrina della penna rossa, e, proprio come lei, ancora senza la penna usb.

Marina Borge

Post scriptum

L’altro giorno ero a casa della Signorina R.; durante la piacevole conversazione mi ha detto che la famosa maestrina dalla penna rossa di deamicisiana memoria è stata l’insegnante della sua mamma, avvalorando così l’autenticità del personaggio.

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