MONSIGNOR GILI E LA GUERRA
Articolo pubblicato dal numero unico stampato nel 1946 in occasione dei festeggiamenti per l’elevazione di Monsignor Gili a Vescovo di Cesena sull’epoca della seconda guerra mondiale quando era vicario a Volpiano.
Monsignor Gili e la guerra
La guerra l’abbiamo sentita a Volpiano nel richiamo alle armi dei figli migliori, nell’esodo dalla città di migliaia di persone in cerca di un riparo, nelle vittime e nei soprusi. Ed anche Monsignor Gili subì i danni e le ingiurie della guerra. Dopo aver aperto, con la stessa casa parrocchiale, i locali di tutte le associazioni a quanti cercavano affannati un’abitazione,si vide negli ultimi tempi occupati ancora quelle poche stanze che costituivano lo stretto necessario per la vita dei suoi giovani dell’azione cattolica. Il 12 febbraio 1945 entravano infatti i reparti della folgore di stanza a Volpiano e il 13 seguente, per ultime ingiuria, tutti i mobili della sede venivano gettati dalla finestra nel cortile sottostante. Data di un increscioso ricordo nella storia dell’associazione San Guglielmo. Anche i locali del salone parrocchiale erano già stati requisiti fin dal novembre 1944 dagli stessi elementi che ne gestivano il cinema. Ma altri episodi ben più importanti si devono inserire nella storia di Volpiano.
Chi non ricorda la domenica triste del rosario 1 ottobre 1944? Potevano essere le 13.15 quando tutto il paese tranquillo nella pace meridiana viene invaso dalle truppe repubblicane. D’improvviso in casa parrocchiale ci si trova dinanzi il colonnello B. che arma in mano impone al vicario di ritenersi come ostaggio. Bloccato il paese da ogni parte, passa soldataglia per ogni casa e con lanci di bombe a mano e spari di moschetto, forzava tutti gli uomini a radunarsi nella piazza antistante la chiesa. Ogni uomo deve presentare i propri documenti e dichiarare la propria posizione. Con Monsignor Gili sono scelte a caso altre sette persone che si vogliono indiziare come favorevoli ai partigiani. Che era successo? Un tenente della g.n.r., certo D. era stato fatto prigioniero dai partigiani presso la cascina San Giorgio in quel di Settimo, e la macchina che l’aveva prelevato era stata inseguita sino a Volpiano dove era stata persa di vista. Dunque, si diceva, l’ufficiale deve trovarsi a Volpiano e doveva ad ogni costo restituirsi nel termine di quarantott’ore, pena l’incendio del paese e rappresaglie sugli ostaggi. Contro la prepotenza non valgono ragioni. Inutili le lacrime di quanti si vedono privati dei loro cari. Dopo una perquisizione minuta nei locali della parrocchia, gli ostaggi sono fatti salire su un autocarro, il vicario fra una scorta armata prende posto sulla macchina del comandante della spedizione, e si parte per Settimo per rinnovare altri soprusi e altri pianti. La sorte di Settimo si accomunava così a quella di Volpiano. Mentre colà si rinnovarono le stesse scene di Volpiano Monsignor Gili, guardato a vista, poteva amministrare il sacramento della penitenza ad uno di quegli stessi ufficiali. E la dolorosa comitiva s’ingrossa e raggiunge a Torino la caserma Valdocco per venire al mattino definitivamente internati nella caserma Cavalli. Lasciato libero sulla parola, il vicario potrà ogni giorno celebrare la messa nella chiesa di San Secondo per poi ritornare con i suoi compagni di sventura. Intanto a Volpiano si prende contatto con i partigiani della zona e si viene a conoscere che il tenente D, era stato condotto a San Giorgio Canavese. Ci si procura perciò un primo abboccamento nella parrocchia di San Benigno col comandante M. che è disposto a porre in libertà il ricercato dietro rilascio dei partigiani prigionieri. A Torino non si accetta lo scambio ma si pretende la consegna dietro la semplice liberazione degli ostaggi. Nuovo ultimatum con minacce di più severe misure. E l’aspettativa si fa più ansiosa e trepidante. Dopo sei giorni di incertezze e di angosce, tra ultimati e dilazioni, dopo insistenze e promesse viene liberato presso San Giusto in un’imboscata tesa dai suoi ai partigiani dai quali, per tener fede alla parola data veniva condotto nel luogo convenuto per essere consegnato. Così nel pomeriggio del venerdì gli ostaggi di Settimo e di Volpiano potevano trionfalmente ritornare alle loro case.
Lunedì 9 ottobre 1944.
Al mattino nella nostra chiesa funzione di ringraziamento per l’avvenuta liberazione. La popolazione interviene affollatissima per dare una prova di stima e affetto verso il suo pastore. Ma nel pomeriggio della stessa giornata incominciano ad affluire a Volpiano truppe tedesche che si stabiliscono nei locali delle associazioni e nelle scuole. Per prima cosa Monsignor Gili è nuovamente trattenuto come ostaggio insieme ad altri cinque internati in una stanza del comune ma i tedeschi si fermano fortunatamente poco a Volpiano e questa seconda prigionia dura soltanto sino alla sera di martedì 10 ottobre. Quando le truppe lasciano il paese tutti i fermati vengono rilasciati in libertà al mattino.
Domenica 29 aprile 1945
Quando si parla di capitolazione e tutto il paese è imbandierato a festa comincia sin dal mattino l’invasione delle forze tedesche in ritirata. Il comando si accampa a Villa Alpis. Alle ore 11 Monsignor Gili è chiamato dai partigiani al ponte Bendola perché lo vogliono invitare a trattare la resa. Quando arriva al posto indicato non trova più nessuno. Alle ore 14 vengono fermati sulla strada Cebrosa, provenienti da Torino, cinque partigiani. Si tratta con i tedeschi che esigono un forte quantitativo di cibarie per la loro libertà . La popolazione si unisce al vicario per procurare quanto è richiesto. Alle ore 16 mentre Monsignor Gili sta per salire sul pulpito per la solita istruzione viene nuovamente chiamato al comando tedesco che vuole in serata 50 biciclette sotto minaccia di incendiare il paese se non sono immediatamente consegnate Si discute e si addiviene a più miti consigli. Verso le 17.30 nuova chiamata del parroco soltanto perché raccomandi a tutti di non usare rappresaglie contro le truppe in fuga. Alle ore 20 vengono portati in casa parrocchiale i cinque partigiani arrestati in giornata perché siano custoditi sino al mattino seguente. Continua per tutto il lunedì il transito dei tedeschi in ritirata, i vari comandi si stabiliscono a turni diversi in casa parrocchiale ove il viavai si sussegue ininterrotto fino al pomeriggio del martedì. Verso le ore 20.30 di questo stesso giorno due forti detonazioni a breve scadenza annunziavano che i tedeschi si erano tagliati la ritirata facendo saltare i ponti del Malone e dell’Orco.
E così la miseranda storia ebbe fine.
Da “Testo unico” – Tipografia Maccone presso biblioteca “Terra di Guglielmo”.
Franca Furbatto
8 maggio 2012 alle 21:09
Non presente direttamente perché nato dopo, ero un ragazzino curioso, attento ai racconti dei più anziani e grazie all’articolo da te riportato, i ricordi si materializzano:
durante il famigerato rastrellamento dell’ottobre 1944, mio padre si trovava con cavallo e carro nei pressi del camposanto di Madonna delle Grazie. Il custode lo avvisò e così trascorse, con altri malcapitati, due giorni e due notti “prematuro ospite” dentro una tomba vuota con tanto di lapide. Il custode avvisò la mamma che portò a casa cavallo e carro provvedendo in seguito al
rifornimento alimentare del “sepolto vivo” evitandogli così di dover mangiare i classici rapanelli da sottoterra. Tolto l’assedio, mio padre tornò a casa ma l’esistenza di un ex militare, dopo l’8 settembre 43, era estremamente precaria: da un lato i partigiani che pretendevano collaborazione e aiuto, dall’altra le rappresaglie dei nazi-fascisti.
Ad aprile del 45 il ciabot dei miei genitori fu occupato dai tedeschi in ritirata. Fortuna volle che un ufficiale dei genieri tedeschi, adocchiasse il divano della cucina e lì si installò per 3 giorni consecutivi. Non frugarono nel pagliaio e nel fienile , risparmiandoci così le bici e la radio che vi erano nascoste.
E come il gran finale dei fuochi d’artificio, due grossi botti fecero sobbalzare tutti dal letto: la guerra era finita per Volpiano, i tedeschi erano oltre il Malone e l’Orco. Il giorno dopo iniziava la rappresaglia partigiana, ma questa è un’altra storia. E quando adesso mi capita di lamentarmi se penso a tutto questo mi vergogno…
Michele Viola
17 maggio 2012 alle 21:34
Pensando poi che come paese ci é andata bene, perchè a Feletto, qui vicino a noi, negli stessi giorni della ritirata, ci sono stati 21 morti e il paese è stato incendiato dai tedeschi. Per questo nel 1984 é stata concessa la medaglia di bronzo al valore militare al comune. Nel municipi, durante una visita per lavor, ho potuto apprezzare (drammaticamente) un enorme quadro apposto nella sala consiliare in cui si vedono in primo piano soldati tedeschi in fuga e alle spalle Feletto che brucia…. sorte che per fortuna ci é stata risparmiata.
27 maggio 2012 alle 08:47
Io confermo l’atrocità di quello che successe a Feletto in quel momento della nostra storia, ero molto piccola, ma ricordo che, quando si seppe cosa sarebbe successo, le famiglie tentarono di salvare ciò che si poteva sgombrando le case. La mia casa era alla periferia del paese ed ho presente l’affanno dei miei genitori nel portare in fondo al prato le cose più indispensabili, io arraffai e portai in salvo le mie bambole, questa scena è scolpita nella mia memoria.
Fummo però fortunati, la nostra zona venne risparmiata, ma per il centro storico del paese fu veramente un disastro.