Archivio di marzo 2013

PRO MISSIONI

martedì 12 marzo 2013

“ PRO MISSIONI”

Erano gli anno sessanta, potevo avere allora sei, sette anni e Luciana otto o nove, frequentavamo l’oratorio e tutte le domeniche, dopo la messa delle ore nove,  andavamo al catechismo nei locali della parrocchia Madonna di Campagna, la nostra chiesa. La presenza dei bambini alla messa era importante : c’era la  classica divisione nei banchi tra maschietti e femminucce, sulla sinistra i primi, sulla destra le seconde. In chiesa eravamo accolte dalle suore dell’oratorio che ben conoscevamo e i maschietti dai frati francescani che gestivano la chiesa e le funzioni e l’oratorio.

Quella domenica di ottobre era la giornata delle missioni e così dopo il catechismo andammo a raccogliere le offerte fuori dalla messa delle undici con un’altra bambina più grande che vedevamo in oratorio e  che ci aveva ingaggiate, diciamo per la raccolta. Per noi era la prima volta che facevamo quel servizio, ma la bambina che ci aveva prese con sé sembrava un’ esperta e ci indicò come muoverci: dovevamo semplicemente ripetere “Pro missioni”, porgendo alle persone che uscivano dalla messa, la busta quadrata, a soffietto, ricamata, invitandole ad essere generose verso chi era meno fortunato di noi. La raccolta fu proficua, le persone si erano dimostrate generose, inoltre  la messa delle undici era la messa più importante per la presenza  numerosa di fedeli adulti e quindi con maggiori disponiblità.

Faceva freddo e per una buona ora, dall’inizio della messa alla fine rimanemmo a fianco della porta d’ingresso all’opera per raccogliere più fondi possibili per le popolazioni bisognose e instancabili, e così ripetevamo serrate “Pro missioni”. Alla fine eravamo senza voce, ma eravamo elettrizzate dalla nuova esperienza.

La ragazza che era con noi , terminata la raccolta, si precipitò a riconsegnare le buste con i denari offerti dai fedeli, ma prima ci invitò a prendere 100 lire a testa come premio – paghetta per il lavoro svolto, lei ne prese di più. Noi facemmo quello che lei ci disse e in quel momento ci sembrò tutto normale. Non riflettemmo sul nostro gesto, anzi eravamo molto contente di aver guadagnato 200 lire e ci avviammo verso casa, mentre la chiesa stava chiudendo ed erano circa le 12e 15. Arrivammo a casa entusiaste dell’esperienza fatta e della cifra sostenuta raccolta per le missioni. Facemmo vedere alla mamma subito  i soldi “ che avevamo guadagnato”, ben 200 lire.

Ricordo ancora come fosse adesso la tavola apparecchiata, il risotto che ci stava aspettando e papà già seduto a tavola pronto a iniziare.

La mamma di fronte alla nostra esposizione dei fatti, andò su tutte le furie e si arrabbiò molto con noi. Appena si riprese ci spiegò la gravità del gesto: avevamo sottratto dei soldi alle offerte fatte per le missioni, dove c’erano  persone che avevano bisogno di quell’aiuto e il servizio di raccolta da noi effettuato era e doveva essere assolutamente gratuito, fatto a fin di bene, e non prevedeva certo un  compenso per chi raccoglieva le offerte. Lo spirito che ci guidava era spirito di carità. L’aver preso 200 lire da quelle offerte era RUBARE, perché ci eravamo impossessati di qualcosa che non era nostro.

L’azione era stata gravissima e mamma era veramente infuriata: ci fece rinfilare immediatamente il cappotto e le scarpe e con l’approvazione del babbo, accompagnate da mamma ci recammo in chiesa con le 200 lire nel portafogli di mamma. Giunte alla chiesa, i portoni erano chiusi, allora la mamma suonò nella vicina casa parrocchiale. Di lì a poco si presentò padre Guardiano e la mamma chiese di parlare con il parroco Don Venanzio urgentemente per un fatto grave.

Il parroco che ben conoscevamo ci accolse stupito. La mamma ci fece raccontare l’accaduto: la raccolta per le missioni effettuata quella mattina, precisando che era la prima volta che facevamo quel servizio e non sapevamo come comportarci.  Parlammo dei soldi  che avevamo preso, su invito della ragazzina che era con noi, A quel punto mamma restituì le 200 lire al parroco. Eravamo piuttosto imbarazzate, ma avevamo capito di aver sbagliato e di aver commesso un gesto grave, anche se sollecitate dalla compagna.  La contentezza di renderci utili e di guadagnare anche noi qualcosa, ci aveva reso cieche di fronte al gesto che poi avevamo compiuto, senza riflettere su quanto stavamo facendo. Chiedemmo scusa al parroco e alla mamma per il nostro comportamento. Don Venanzio ci strinse forte a sé e così fece la mamma, facendoci promettere che non avremmo mai  più compiuto un gesto simile.

Il Parroco ringraziò del gesto, tranquillizzò  la mamma, e le fece i complimenti davanti a noi per come si era mossa e per gli insegnamenti che ci aveva trasmesso con il suo comportamento e la ringraziò per la sua onestà. Ricordo ancora le parole: “ con una mamma così le ragazze non potranno che crescere nell’onestà, nel rispetto degli altri, consapevoli della responsabilità delle proprie azioni e capaci  di condividere esperienze e soprattutto di chiedere scusa di fronte ad un errore, in cui tutti possiamo incorrere”.

Ci  benedì tutte e tre e finalmente ritornammo verso casa affamate, ma felici perché sapevamo di aver fatto la cosa giusta e ci sentivamo più leggere. A casa papà ci aspettava ansioso e ci abbracciò forte: “ Oggi abbiamo imparato tutti come sia facile sbagliare, importante è raccontare sempre quello che abbiamo fatto, ascoltare la nostra coscienza e rendersi conto delle nostre debolezze. Il sapersi assumere con prontezza le proprie responsabilità è sintomo di maturità e soprattutto saper chiedere perdono a Dio e alle persone che abbiamo offeso ci fa trovare la pace del cuore, sapendo che non ci può essere perdono da parte del Padre se non lo chiediamo a chi abbiamo offeso.” Anche queste sono state parole che non ho dimenticato.

Il risotto era piuttosto scotto, ma ci rifacemmo con il secondo e il pranzo fu consumato in allegria, benedetto da Dio.

Ancora adesso ripenso a quel gesto e condivido, da mamma  pienamente, l’atteggiamento duro e tempestivo di mia madre, valse un insegnamento che durò tutta la vita e contribuì a formare le nostre coscienze.

Franca Furbatto

Matita rossa e blu

lunedì 11 marzo 2013

Nel corso della nostra vita, con una buona dose di fortuna, ci può succedere di conoscere persone che spiccano tra le altre senza avere, per forza, quelle precise caratteristiche richieste dai tempi in cui viviamo. Al contrario le loro esistenze si srotolano, giorno dopo giorno, tra le pieghe di una quotidianità comune alla maggior parte dei luoghi, indipendentemente dalle loro dimensioni. I vantaggi di vivere in un centro, né troppo grande né troppo piccolo, dove le relazioni interpersonali sono meno complicate, fanno sì che il tessuto urbano diventi via via sempre più solido.

Può accadere che le persone straordinarie ricoprano ruoli importanti, a loro stessa insaputa, fino a rappresentare un punto fermo per l’intera collettività. Credo si debba sempre tener presente che, dietro la porta di ogni abitazione, si cela un piccolo universo traboccante di idee che circolano anche a beneficio di chi si avvicini ed entri in quella casa.

La signorina R. si sposta raramente e quasi mai oltrepassa i confini del paese, dove inizia la campagna. Non ce n’è bisogno; ogni pomeriggio quando apre il portone della sua casa che si trova in centro, un nugolo vociante di ragazzini si infila nella stanza adibita ad aula, che si trova al piano terra. Il suo è un piccolo mondo, se ragioniamo in termini puramente spaziali e considerando la sfera d’azione in cui opera ma, credetemi, molto grande dal punto di vista dei contenuti. Tutti i giorni, con l’arrivo degli allievi, ciò che si riversa su di lei è paragonabile ad un torrente in piena.

Informazioni di ogni genere, curiosità, notizie, commenti e mugugni si fanno strada attraverso il vecchio muro prospiciente la via principale. Un rituale che si rifà e funziona come un vero “tam-tam” stavolta di fattura italica. D’altro canto la sua affabilità e disponibilità ad ascoltare e saper cogliere le confidenze della gente fanno sì che per molti di noi sia diventata un punto di riferimento. In passato in quella stanzetta ha preso posto anche qualche adulto con la necessità, impellente, di recuperare gli anni perduti per conseguire un diploma, sfuggito per mancanza di tempo o di mezzi. Credo sarebbe molto difficile poter dire quante siano state, finora, le generazioni che si sono avvicendate su quei “banchi”, tutte accomunate da un unico scopo: spendere bene quel tempo per recuperare le troppe ore perse o sciupate a scuola, come spesso si tende a fare a certe età. Genitori e nonni le hanno sempre affidato i loro rispettivi figli e nipoti con l’assoluta certezza che i buoni risultati non si sarebbero fatti attendere.

Nel corso della mia carriera scolastica anch’io ho fruito del suo aiuto, intendiamoci, senza peraltro far sì che in seguito io potessi amare la ragioneria. Un’impresa del genere non è riuscita a nessuno. Tuttavia ero certa che per rimediare mi sarebbero bastate le sue spiegazioni, così semplici, chiare e talmente efficaci da produrre su di me un effetto paragonabile ad un’iniezione di fiducia. Oserei dire che era riuscita persino a mutare il mio atteggiamento verso quella materia così detestata, infondendomi un cauto ottimismo che, vi lascio immaginare, è durato qualche mese appena.

È per questo motivo che quando a volte si parla di “vere istituzioni” non posso fare a meno di pensare a lei, figlia di una borghesia d’altri tempi. Il padre, veterinario, era allora di diritto considerato un notabile del paese, pertanto, come spesso succedeva tra i ceti medio alti, le ragazze venivano indirizzate all’insegnamento. Devo dire che, da parte sua, è stata una vocazione abbracciata con slancio, tale da diventare una vera missione, senza peraltro mai spostarsi dalla sua dimora abituale. Insomma “un’insegnante” che per insegnare non ha mai avuto bisogno di una scuola vera.

Se rifletto sul suo stile di vita mi viene in mente l’aggettivo “autarchico” senza per questo volere da parte mia restringere troppo il significato del termine in quanto, associarlo alla sola idea di autosufficienza economica, sarebbe un errore. La filosofia di vita della signorina R. si rifà, nel concepire l’esistenza, a modalità di tempi ormai molto lontani da noi, di quando non si sentiva la necessità di circondarci di troppe cose inutili e dalle quali tutti noi ora dipendiamo senza potercene più liberare. Il suo modo così sobrio di concepire il quotidiano è quasi come se il tempo per lei si fosse fermato agli anni più difficili di un passato che pochi di noi rimpiangerebbero, abituati come siamo ad avere il “superfluo” a portata di mano.

Vi è nella nostra cittadina un appuntamento annuale nel corso del quale vengono esposte le cosiddette foto d’epoca. Visitare la mostra permette di rivivere attraverso le immagini del passato momenti unici perché dimenticati e significa avere l’opportunità di riconoscere i propri concittadini in bimbetti ormai diventati nonni, con fiocco e grembiulino in posa accanto alle suore dell’asilo. La signorina R. vi compare in una foto in compagnia di due amiche ed è riconoscibile per via dell’identico sorriso che ha conservato nel tempo. Anche i riccioli sono gli stessi, la differenza sta solo nel colore.

Molti anni fa è mancata la sua mamma, una signora amabilissima proprio come lei e per me è stata l’occasione per farle visita e salire al piano di sopra. Appena entrata mi ricordo di aver pensato a quanto l’intera ambientazione di quella stanza somigliasse al Meleto, la villa del Gozzano che ho avuto la fortuna di visitare. Le mie non sono state semplici suggestioni, piuttosto ho provato una sorta di piacere di ritrovarmi in stanze arredate in giorni lontani e con un gusto che si rifaceva ad un altro secolo.

Fin da subito ho avuto la netta sensazione che in quella stanza ogni oggetto occupasse il proprio posto da tempo immemorabile, preservando così una particolare atmosfera che si respira solo in certe case. È come se la polvere che si era depositata su mobilio e suppellettili avesse il preciso compito di custodire per sempre il prezioso involucro, in questo caso la sua famiglia o quel che ne era rimasto, con tutto l’amore, i ricordi e gli affetti di una vita.

La protagonista del nostro racconto continua a portare avanti la propria missione da ormai settant’anni e va ben oltre le materie scolastiche e la semplice didattica.

Ho spesso immaginato che la signorina R. da sempre indossi i panni di un personaggio d’altri tempi, direi ottocentesco; oggi, con i suoi ottantasette, anni potrebbe a buon diritto entrare fra le pagine di Edmondo De Amicis in compagnia della signorina Eugenia Barruero, la maestrina della penna rossa, e, proprio come lei, ancora senza la penna usb.

Marina Borge

Post scriptum

L’altro giorno ero a casa della Signorina R.; durante la piacevole conversazione mi ha detto che la famosa maestrina dalla penna rossa di deamicisiana memoria è stata l’insegnante della sua mamma, avvalorando così l’autenticità del personaggio.

CONCORSO DI POESIA – UNITRE

domenica 10 marzo 2013

Mentre prosegue fino a maggio   il concorso Unitre di Volpiano per  poesie  in italiano e dialetto ” LA MIA TERRA”    (vedere dettagli sul sito www.unitrevolpiano.it) un importante riconoscimento  è stato attribuito dall’Unitre di  Moncalieri –  nell’ambito della festa della donna – per la sezione narrativa  a due  nostre associate: Daniela Boscarato e Marina Borge. Hanno partecipato  anche Emilia Testù e Franca Furbatto. 

 Anche lo scorso anno  si erano distinte  nonostante il grande numero di partecipanti..

BRAVE…..BRAVE ….BRAVE.!!!!!

Speriano di poter inserire tutti  i racconti (magari anche in diverse puntate) in modo da permettere a tutti di leggerli.