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Tra Piemonte e Liguria

giovedì 7 giugno 2012

L’itinerario questa volta inizia nella nostra regione, nell’Alta Valle del Tanaro, e precisamente dal suo capoluogo, Garessio, con poco meno di 5000 abitanti distribuiti in quattro borgate, Borgo Ponte, Borgo Poggiolo, Borgo Maggiore e Borgo Medioevale, tra loro unite da viali alberati.

Garessio medievaleGli antichi borghi, incorniciati da una corona spettacolare di monti adagiati sulle sponde del Tanaro, il più importante affluente di destra del Po, raccontano la storia millenaria di Garessio: i resti del castello medievale con le mura e le porte d’accesso al borgo, le decorazioni e gli architravi in pietra scolpita, le facciate in cotto, le chiese maestose e l’infinità di cappelle sparse ovunque, i “carugi”. Sono ancora visibili le ville padronali del secolo scorso dove si radunava il bel mondo per godere del clima fresco e temperato dell’estate e fare la “cura” dell’acqua San Bernardo “la più leggera del mondo”.

Etichetta storica San Bernardo[La prima etichetta recante l’autorizzazione alla vendita nel Regno per Decreto del Ministro dell’Interno del 15/3/1926 da http://www.comune.garessio.cn.it]

Garessio fu abitata sin dalla preistoria (se ne trovano le tracce nelle grotte del Gray e di Valdinferno), poi dai Liguri e infine dai Romani. Nel IX-X secolo arrivarono anche qui i pirati e i predoni saraceni che avevano base a Frassineto  Fraxinetum Sarracenorum,  (l’attuale St. Tropez). Quegli avvenimenti bellicosi sono ancora ricordati dal nome della frazione Eca Nasagò (che significa “luogo di battaglia cruenta”) nei pressi di Ormea.

Attraverso altri fatti d’armi, si arriva al 1276, quando Garessio passa sotto i marchesi di Ceva, che vi costruirono il castello; in cambio di aiuti militari, ottiene dal marchese Giorgio II il Nano gli Statuti raccolti nel “Libro della Catena”, oggi conservato presso la Biblioteca comunale.

S. Caterina d'AlessandriaNel 1635, il vecchio castello, i cui ruderi ancora dominano il Borgo Maggiore, è distrutto dai Savoia. Napoleone nel 1794 occupa il borgo; dal 1814  Garessio ritorna sotto i Savoia condividendone le sorti, prima con il Regno sabaudo e poi con l’Unità d’Italia.

Dal 17 giugno 1870 si può fregiare del titolo di Città, concesso da re Vittorio Emanuele II.

Visitando per primo il Borgo Ponte, incontriamo la Parrocchiale di Santa Caterina d’Alessandria, costruita da Francesco Gallo e il cui campanile fu realizzato su un progetto iniziale del Vittone.

L'Angolo dellaPoesiaSulla via che conduce alla chiesa, ecco l’Angolo della Poesia con i versi del Gozzano dedicati a Garessio e riportati sulla facciata.

Entriamo nel Borgo Poggiolo dove hanno sede la Biblioteca, costituita da oltre 25 mila volumi con una preziosa documentazione di storia medioevale, e la Pinacoteca. Proseguendo per il Borgo Maggiore troviamo il Municipio che ospita il Museo Civico Geo-Speleologico ed un ricco archivio storico.

Piazzetta S. Giovanni e ConfraternitaSempre sulla stessa via, ma alla nostra sinistra, scopriamo la suggestiva piazzetta dedicata a San Giovanni e sovrastata dall’omonima chiesa (chiusa). Credevamo di essere soli; invece, da una casa poco distante, ci stavano tenendo d’occhio: era Luna, la cagnetta della signora Ede, che, sentito l’abbaiare, uscì di casa e fu così che facemmo conoscenza con la custode della chiesa: quando si dice la fortuna!

Abbiamo così avuto modo di ammirare le diciotto lunette, recentemente restaurate, che ricordano la vita del Santo e risalgono alla seconda metà del 1600. Ai piedi della bella scalinata si nota la pavimentazione in ciottoli bianchi e neri, nata dall’idea e realizzata dal punto di vista economico da un noto designer nativo del luogo cui si deve anche il restauro della Chiesa.

La Confraternita di San Giovanni Battista e della Misericordia curò per secoli la Sacra Rappresentazione del Mortorio, che apparenta Garessio a località, come Sordevolo e Romagnano Sesia ed altri centri in Italia.  È la rievocazione della deposizione del corpo del Cristo dalla Croce. In esso agiscono i personaggi che vissero l’evento: Maria, la Maddalena, Maria Cleofe e Maria Veronica (quest’ultima ricordata nei soli Vangeli apocrifi), Giovanni Evangelista, Giuseppe d’Arimatea, il Centurione e i soldati romani del seguito.

S. Caterina d'AlessandriaAl termine del Borgo, sorge la Parrocchiale dell’Assunta sempre di Francesco Gallo ricostruita nel 1868 su quella precedente del Convento domenicano del Quattrocento, e di cui rimanevano solo i muri absidali e la facciata. Infatti, a seguito del passaggio delle truppe francesi e secondo le leggi napoleoniche relative alle chiese non parrocchiali, furono cacciati i Domenicani, la chiesa fu venduta assieme agli arredi sacri, il tetto abbattuto, i muri sbrecciati: restò indenne solo la facciata. Nel 1862 il Comune acquistò la chiesa semidistrutta e nel 1870 fu iniziata la ricostruzione della stessa, riprendendone integralmente il progetto del Gallo.

Garessio presenta altre particolarità della sua storia ed architettura: ne sono un esempio il Campanile gotico in pietra della Parrocchiale di S. Maria in Ripis e di cui resta il portale ogivale.

Porta JhapeEntriamo nel “Bricco”, un ristretto gruppo di case raccolte proprio sotto la collina del castello. Proseguendo tra piccole e graziose costruzioni, si arriva alla caratteristica Porta Jhape, ancora unita sulla sinistra alle mura medievali fiancheggianti il vicino rio S. Mauro.

Da notare le pietre scavate che ospitavano i cardini (uno ancora in loco) delle porte che chiudevano il borgo. Il nome Jhape dovrebbe derivare dalle “ciappe”, dette anche “lose”, con cui erano coperte le case del borgo medievale. Oltre Porta Jhape a destra prosegue l’antica strada di collegamento tra il Piemonte e la Liguria, utilizzata per il commercio del sale.

La Torre Saracena: non siamo saliti perché ormai in ritardo sulla tabella di marcia: è una possente costruzione risalente all’epoca delle invasioni saracene (siamo nel 900 dell’Era Volgare) posta a guardia e a sorveglianza del territorio. Alta 9 metri e larga 3, si presume sia stata ricuperata dagli invasori da una costruzione precedente. Risalirebbe all’epoca di Giustiniano e Costanzo, imperatori di Bisanzio, che avevano dato avvio all’edificazione di torri di avvistamento sul limes dei territori per proteggersi dalle invasioni di altri popoli. Una suggestiva leggenda narra come la zona di Garessio sia stata liberata da un valligiano al quale i Saraceni avevano sottratto la fidanzata. Dopo la liberazione dagli invasori, l’eroe aggiunse al suo cognome Zitta il soprannome Tornatore e da allora la famiglia fu Zitta Tornatore, e se ne ha ancora traccia tra alcuni cognomi degli abitanti.

Una curiosità che ci ha meravigliato: Volpiano ha una settantina di associazioni e 15 mila abitanti, Garessio di abitanti ne ha meno di 5 mila ma le associazioni sono 74 e in guerra perenne tra di loro. Motivo? Un campanilismo accesissimo e non tra città o paesi, ma addirittura fra i quattro borghi. Pertanto Garessio con un terzo di abitanti supera Volpiano: nel caso volessimo eguagliarla, dovremmo triplicare le nostre. Pensiamoci!

La nostra guida, un po' imprudentePer raggiungere la nostra prossima destinazione ci siamo affidati a questa guida autoctona, certamente in possesso dei migliori requisiti come esperta della zona.

Marina e Luciano

L’unico dissapore

sabato 26 maggio 2012

Due volte la settimana avevano due ore filate di lezione con Caterina. Lei ne approfittava per educarci, non solo sotto il profilo dell’acculturamento, ma soprattutto per fare di noi ragazzi uomini del domani. E a questo dedicava sicuramente almeno un’ora ogni settimana.

Naturalmente io ero sempre nel primo banco davanti alla cattedra, penso che lei ed io non fossimo distanti mai oltre i due metri. Ormai era nato tra noi un filo intellettuale che finiva per trasformare queste sue lezioni in un dialogo, quasi un salotto tra noi due soli.

Gli argomenti partivano dall’attualità di un avvenimento, da un fatto di storia d’altri tempi, da un verso di Dante. Riusciva, con una abilità straordinaria, a riportarci indietro nei secoli, nella letteratura greca o latina, trovare le affinità, o un principio, e legava questi fatti distanti due millenni dando una consistenza alle argomentazioni.

Non mancava mai di coinvolgere la classe nella sua totalità; talvolta c’erano dei “È proprio vero, non ci avevo pensato”, ma erano buttati lì tanto per non fare “scena muta”. L’unico che entrava in contraddittorio con lei ero io.

Eravamo, quel giorno, ormai verso la fine di quella prima ora. Credo abbia voluto provocarci, chiedendoci la nostra opinione su di lei: dopo questa sua uscita neppure i moscerini sbattevano più le ali. Protetto da una sorta di “immunità”, replicai terminando con un testuale “E pensare che me l’avevano descritta come un mostro!”. Sorrise, finì nei dieci minuti successivi l’argomento e poi disse “Passiamo a Storia”.

L’incubo dell’interrogazione d’Italiano era finalmente passato. Mi guardò con gli occhi da birba, mi sorrise e … “Vendetta, tremenda vendetta su Garombo. Vieni, ti interrogo di Storia”.

L’espressione delle parole e del viso certamente non erano di vendetta per quello che poc’anzi le avevo detto, infatti non avevo ancora voto e l’interrogazione non poteva, e meno che mai doveva, essere messa in relazione proprio alla chiacchierata precedente.

Avevo preparato con molta cura la lezione di italiano orale, ma quella di storia proprio no, sì ricordavo la lezione di qualche giorno prima, ma sapevo non sarebbe stata sufficiente. Mi fece qualche domanda, risposi in quel modo raffazzonato che lei tanto detestava. Capì velocemente che non poteva, né sarebbe dovuta, andare oltre: mi voleva davvero bene.

“Dai, vai a posto. Non hai proprio studiato, vero?”

Abbassai la testa;  umiliato, feci una smorfia e ammisi l’assoluta mancanza di preparazione: conoscendola il voto sarebbe stato un bel ”tre”, non c’era scampo! e sarebbe stato davvero durissimo a rimediarlo con lei.

Con molta dolcezza mi disse: “Ti do cinque al sei, così puoi rimediare. La prossima volta, però, studia”

La fine

A giugno mi trovai rimandato in quattro materie (però di italiano avevo sette, e sei di storia).

Alle quattro materie si aggiunse un problema “cardiaco”: ad agosto, in villeggiatura, incontrai G., la più carina, ed altrettanto intelligente, ragazza della compagnia. Questa volta fu Cupido a scoccare la freccia. Anche a lei devo molto e la ringrazio, perché quando, nel corso della vita, ho avuto bisogno di un aiuto, su lei ho sempre potuto contare, sempre pronta a darmelo.

A settembre non superai l’esame e ripetei la terza. Fu comunque anche una grande lezione di vita.

Caterina proseguì il suo ciclo scolastico ed io mi ridussi a vederla e parlarle nell’intervallo e nei corridoi dell’Avogadro quando gli orari combinavano.

Però un desiderio, alla fine di queste righe, è affiorato.

Caterina, è passato quasi mezzo secolo da quando ci siamo conosciuti. Oggi che voto mi daresti e che commento faresti al mio raccontino?

Sboccia l’idillio con Caterina

domenica 13 maggio 2012

Alla fine di questo racconto sarà chiaro perché d’ora in poi mi permetterò di chiamarla solo Caterina.

Bene: l’anno scolastico era iniziato, gli insegnanti erano stati assegnati e gli orari delle lezioni pure. Si poteva, anzi si doveva cominciare.

In uno di questi primi giorni di ottobre, se ne arriva bella bella Caterina ed esce con: “Domani compito in classe di italiano”. Se prima la temperatura ambientale di noi studenti era un po’ sotto la media stagionale (quando Caterina entrava i classe non volava più la classica mosca), dopo la sua uscita precipitò a meno 273 Celsius. Anche le mosche non sbattevano più le ali per non fare rumore.

Ed arrivò l’indomani. Caterina dettò il titolo del tema.

Una trentina di teste si chinarono sui fogli protocollo e cominciarono … chi a scrivere, chi a pensare. Comunque alla fine delle due ore tutti, in fila indiana, consegnammo sulla cattedra i nostri temi. Sapevamo già in anticipo quello che ci aspettava: la fama di Caterina sullo scritto la precedeva da sempre.

Passò più di una settimana, e quella mattina, era un martedì, Caterina ci mise al corrente che l’indomani ci avrebbe consegnato i temi.

–          Il voto rispecchia prima di tutto il contenuto, ci spiegò, poi considero la grammatica e tolgo un punto dal voto per ogni errore. Troverete comunque il mio commento sul vostro tema, proprio al termine del vostro lavoro.

Ci disse anche che i voti erano un disastro, una sola sufficienza, pochi cinque, molti quattro e qualche tre.

All’Avogadro il voto massimo era l’otto. Non credo ci sia stato un solo insegnante che abbia assegnato nel corso della vita dell’Istituto un voto superiore.

L’indomani mattina arrivai a scuola alle otto e dieci, si entrava alle otto e venti per essere presenti in classe alle otto e trenta. La “cartolina” non si timbrava, ma dopo cinque minuti di ritardo era richiesta la giustificazione scritta e firmata da uno dei genitori.

Ci provai ad entrare a scuola, quella mattina. No, non ci riuscivo proprio.

Caterina, infatti, era alla prima ora con i suoi temi, ci avrebbe chiamato ad uno ad uno, ci avrebbe consegnato i temi, commentandone il voto. No, preferivo sapere il mio voto dagli altri allievi. Così decisi di “tagliarla” quella prima ora ed entrai alle nove e trenta. Era preferibile affrontare la severità di mia madre piuttosto di quella di Caterina!

Caterina “rubava” sempre cinque/dieci minuti all’insegnante dell’ora successiva e quando uscì dall’aula, mi vide e mi apostrofò con un “Sei arrivato in ritardo?”

–          No, le risposi, alle otto e dieci ero già al bar, ma ho preferito entrare un’ora dopo: sapere il tuo voto dalla classe è cosa diversa che conoscerlo dall’insegnate: tra noi possiamo condividere (era sottintesa l’afflizione), mentre quando lo vieni a conoscere dall’insegnante sei lì e solo (ed era sottinteso quasi come in un tribunale dell’Inquisizione).

 Aveva i temi, i fogli protocollo erano ripiegati sulla loro metà più lunga, sul braccio sinistro. Li teneva tra il braccio flesso e il seno, quasi come se fosse una mamma che tiene in braccio il proprio bambino.

Col l’indice e il medio della mano destra si mise a sfogliare i temi cercando il mio.

–          Eccolo qui, Garombo, il tuo.

Alzò gli occhi mentre estraeva dagli altri il mio, mi guardò e mi sorrise: “sei al sette!”

La fissai negli occhi, ricambiando lo sguardo. Credo abbia letto la meraviglia, lo stupore, l’incredulità e poi la felicità.

Mormorai, o forse farfugliai, un “Grazie”.

Mi sorrise e mi disse qualcosa che non riuscii più a capire, che non ricordo più.

Le sorrisi. I nostri occhi si fissarono nuovamente, gli uni negli altri: durò forse pochi attimi. Non c’è dubbio che da quelle parti, e in quel momento, stesse passando Apollo che scoccò uno dei suoi dardi. Fu una scintilla, quel giorno credo di avere anticipato le passeggiate spaziali degli astronauti.

Ormai era il mio idolo. Ed io il suo: capirete poi perché.

Luciano G.

La Marca Anconetana

martedì 3 aprile 2012

Uno scrigno di bellezze si estende dalla costa Adriatica ai rilievi Appenninici con una variegata offerta di beni culturali, attrazioni e risorse turistiche: stiamo parlando della Marca Anconetana. La vacanza si apre a infinite destinazioni: il mare, la cultura, la natura, la spiritualità, il gusto.

Ancona

La fondarono i greci siracusani nel 387 a.C.; il promontorio su cui sorge ha forma di gomito piegato e per questo la chiamarono Ancon, gomito. Proprio per questa caratteristica che la contraddistingue, Ancona è l’unica città italiana da cui si possano godere le suggestioni sia dell’alba sia del tramonto.

La storia di Ancona ha proprio inizio dal suo porto che diventa, nel corso degli anni, protagonista di scambi tra Oriente e Occidente, tanto da guadagnarsi l’appellativo di porta d’Oriente: un crocevia di genti e culture, e di questo passaggio ne è rimasto ancor oggi un segno tangibile.

Dalla cittadella sul colle Astagno e dai suoi possenti bastioni si ammira, come disse il padre dello scrittore Goethe, una delle vedute più belle del mondo non solo sulla città ma anche sui suoi dintorni.

Altro pregevole luogo è il Passetto: vista dal mare, la monumentale doppia gradinata che scende fino alla spiaggia ha l’aspetto di un’aquila con le ali spiegate; la spiaggia del Passetto si estende per quasi un chilometro in un’area rocciosa, suggestiva e “selvaggia”, caratterizzata dalla roccia bianca della scogliera e da un’atmosfera veramente tipica.

L’Arco di Traiano, una delle testimonianze monumentali più preziose delle Marche romane, ci introduce alla città più antica. Elegantissimo, in marmo turco (proveniente dalle cave dell’isola di Marmara) fu costruito in onore dell’imperatore che aveva ampliato, a proprie spese, il porto della città. Da qui lo stesso Traiano partì per la vittoriosa guerra contro i Daci, episodio riportato sui bassorilievi della colonna omonima a Roma. Il recente restauro ha ridato lo slancio e l’eleganza di un tempo a quest’opera che conserva un’aura di freschezza e un’anima che sembra non invecchiare mai.

Il Duomo

DuomoSalendo verso il colle Guasco, si incontra la Cattedrale di San Ciriaco, chiesa medievale unica in Italia per il suo stile che fonde arte romanica, gotica e bizantina. Sorta sulla sommità dell’antica acropoli greca continua dall’alto a vegliare sul mare.

Gli scavi eseguiti nel 1848 accertarono che sin dal III secolo a.C. esisteva un tempio dorico probabilmente dedicato ad Afrodite; infatti, dopo l’avvento del cristianesimo, i templi dedicati alle divinità pagane vennero trasformati per il nuovo culto. Sulle strutture del vecchio tempio fu edificata la basilica paleocristiana a tre navate con l’ingresso verso sud-est (dove attualmente è la cappella del Crocefisso) e dedicata a San Lorenzo. Ne rimangono tracce nel pavimento in mosaico e nelle mura perimetrali.

Tra l’anno Mille e il XIII° secolo, vengono eseguiti importanti lavori di ampliamento e ristrutturazione, trasformando la pianta iniziale della chiesa in croce greca, e rivolgendo l’ingresso verso il porto. Nel 1017 la popolazione trasferì all’interno della basilica i corpi di San Marcellino e di San Ciriaco. Tra il XIII e il XIV secolo la basilica è dedicata a San Ciriaco patrono di Ancona, martire e, secondo la tradizione, vescovo della città.

Duomo - InternoVari avvenimenti, nel corso degli anni, determinarono diversi interventi sulla basilica stessa. Già nel 1883 vi fu un primo restauro, successivamente fu bombardata dalla flotta austro-ungarica durante la Ia guerra mondiale e solo nel 1920 si tentò di riparare ai gravi danni patiti. Durante la seconda guerra mondiale subì pure i bombardamenti aerei degli anglo-americani che distrussero il transetto destro, la sottostante Cripta delle lacrime e i tesori artistici qui custoditi. Il transetto fu ricostruito con il recupero delle parti originali e nel 1951 il duomo venne nuovamente riaperto al culto.

Le traversie di questa chiesa non finiscono qui perché il terremoto del 1972 provocò nuovamente danni all’edificio che, dopo lavori di restauro e consolidamento, fu riaperto nel 1977.

Ancona, già centocinquant’anni in anticipo su Washington, si era dotata del suo “pentagono”: la Mole Vanvitelliana, che fa parte delle geniali opere portuali di Luigi Vanvitelli: il Lazzaretto, costruito su un’isola artificiale realizzata all’interno del porto dallo stesso artista e il molo nuovo il cui accesso, l’Arco Clementino, ancor oggi porta una nota di eleganza e di arte in mezzo alle gru e alle navi mercantili.

La Mole Vanvitelliana all’inizio era infatti destinata a lazzaretto per la quarantena di merci e persone che arrivavano in porto dall’Oriente. Oggi rappresenta, non solamente per la città ma anche per tutta la regione, un’importante punto di riferimento per le attività culturali e didattiche.

Per chi arrivasse dal mare il colpo d’occhio è davvero suggestivo: lo sguardo abbraccia tre simboli della città di diverse epoche della storia: l’arco vanvitelliano dell’Evo Moderno, il Duomo del Medioevo, e infine l’Arco di Traiano dell’Evo Antico.

Piazza del Plebiscito

Piazza PlebiscitoSe cercate questa piazza chiedete di piazza “del Papa”, per via dell’imponente statua di Clemente XII, che vigila e accoglie, in quello che a pieno titolo può essere considerato il “salotto cittadino”, una bellissima piazza accogliente e ricca di storia.

Sulla Piazza si affacciano la Chiesa di San Domenico, la già ricordata statua di Clemente XII, segno di riconoscenza della città al Pontefice che aveva concesso il porto franco, il Palazzo Mengoni Ferretti, il Museo della Città, la Torre Civica, il Palazzo del Governo, l’Atelier dell’Arco Amoroso, le fontane del secolo XV e XIX.

La Chiesa di San Domenico fu eretta nella seconda metà del ‘700; all’interno avremmo potuto ammirare una Crocifissione del Tiziano e una Annunciazione del Guercino, se fosse stata aperta. Di fronte al monumento a Clemente XII, si trova la fontana emiciclica decorata nella fascia superiore da effigi, che la leggenda attribuisce a teste di decapitati. Il Palazzo Mengoni Ferretti, iniziato nel ‘500, è sede della Biblioteca Comunale e racchiude un tratto di mura duecentesche.

Piazza Roma.

Questa piazza rappresenta un tradizionale luogo di incontro ed è lì che troviamo la fontana dei quattro cavalli. Ci spostiamo nelle immediate vicinanze per andare a vedere un’altra fontana detta delle tredici cannelle legata ad una leggenda che vuole che prima di partire si beva la sua acqua allo scopo di assicurarsi un buon ritorno.

Teatro delle Muse.

L’inizio della costruzione risale al 1827, di questa però ha conservato soltanto la struttura esterna e la neoclassica facciata a colonne ioniche. Infatti, durante la seconda guerra mondiale, il tetto fu parzialmente danneggiato da uno spezzone incendiario d’aereo e, in quella occasione, gli amministratori avviarono un progetto di demolizione e ricostruzione degli interni in stile moderno che fece molto discutere.

Risalendo verso il centro dalla via Vanvitelli, troviamo tre palazzi nei quali in epoche successive ebbe sede il governo del libero comune: il romanico Palazzo del Senato, il gotico Palazzo degli Anziani, quasi un grattacielo medievale, con la facciata principale rifatta nel Seicento e l’imponente prospetto verso il porto ancora originario, il rinascimentale Palazzo del Governo, affiancato dalla Torre civica.

Le note storiche, tuttavia non suffragate da prove, riferirebbero che il secondo fu costruito da Galla Placidia nel 425 d.C. e in seguito demolito dai Saraceni nel 839. L’edificio attuale venne eretto nel 1270 in stile romanico-gotico e successivamente trasformato. Costruito in un terreno scosceso, si presenta alquanto particolare nella sua forma architettonica. Era la sede storica delle Magistrature cittadine sin dall’Alto Medioevo e a partire dal XI secolo, con la nascita della Repubblica di Ancona, divenne il luogo dove si riuniva il Consiglio degli Anziani, da cui prende il nome.

Si compone principalmente di due fronti, uno occidentale, verso il mare, e l’altro orientale, verso la piazza antistante. Il fronte mare, alto ben sette piani, presenta il basamento ad arconi ogivali in pietra bianca del Conero. Il resto della struttura è in laterizi con finestre romaniche ad archetti incrociati. Il fronte piazza, alto appena due piani, conserva dei reperti architettonici originali ancora visibili, come il doppio ordine di logge ogivali in pietra del Conero, oggi murate; e la serie di pannelli scultorei con “Scene Bibliche”, di cui solo due superstiti.

Nel corso dei secoli, a seguito degli eventi più diversi, fu variamente danneggiato e più volte ricostruito; tuttavia siamo rimasti molto meravigliati che un “grattacielo del medioevo” sia in condizioni di così elevato degrado.

Dall’arte alla natura.

A pochi chilometri dal capoluogo marchigiano si trova il Parco Regionale Naturale del Conero che comprende un tratto di costa e un’ampia fascia collinare. Per chi ama alternare le giornate dedicate al completo relax, offerto dalla spiaggia, c’è l’opportunità, a piedi, in bici, a cavallo di andare alla scoperta di angoli immersi nel verde. Un’ottima soluzione, dopo una piacevole camminata in mezzo al bosco, è di rituffarsi nei paesini che sorgono nel territorio.

Sirolo

Un "vigolo di SiroloA 125 m. a picco sul mare, alle falde del Monte Conero si erge l’antico borgo fortificato di Sirolo che, oltre alle attrattive offerte dalle chiese, dai palazzi nobiliari, dall’arco medievale e dal “torrione”, unico fortilizio superstite a difesa delle mura, gode di un panorama mozzafiato. Basta percorrere il suggestivo viale di lecci che costeggia la piazza fino alla “Punta” e, in compagnia del pescatore che, immobile dal suo piedistallo, scruta le condizioni del mare, potrete spaziare con lo sguardo su tutta la riviera. A Sirolo una cosa da non perdere sono i “Vigoli” l’originario assetto viario medievale, in pieno centro, dove si possono ammirare case molto graziose con porticine e piccole finestre abbellite da fiori dai colori variopinti.

11 anni e 11 chiliProprio in una di queste viuzze ci siamo imbattuti in un micio di 11 anni che pesava ben 11 kg (praticamente è cresciuto aumentando di 1 kg ogni anno). Dopo averlo fotografato e accarezzato (neanche tanto), ha fatto capire alla proprietaria di voler rientrare in casa. In pratica, la signora ci ha spiegato che, per tutta l’estate il suo gatto era stato oggetto di coccole da parte di tutti i turisti che erano passati da lì. Probabilmente, dopo mesi e mesi di attenzioni, ora l’unica cosa che desiderava era di poter dormire e sognare, ovvero di dedicarsi a quella che sappiamo essere l’attività preferita da tutti i felini.

Monumento al pescatoreSirolo vanta, durante la stagione estiva, un cartellone teatrale molto interessante ed ha dedicato una sua piazza alla memoria del regista teatrale e d’opera Franco Enriquez, scomparso ad Ancona nel 1980, a soli 52 anni. Fu il compagno e il grande amore di Valeria Moriconi, attrice di cinema e teatro che era nata a Jesi. L’attrice, dopo la morte di Enriquez si legò ad un giornalista trascorrendo con lui molti anni sereni e lunghe estati nella sua casa al mare di questo grazioso borgo.

Numana

A Numana alta si arriva salendo “la Costarella”, una scalinata che conta ben 151 gradini, ingentilita da piante e fiori. Ci siamo regalati una sosta per prendere po’ di fiato e, scambiando quattro chiacchiere con i nativi, siamo venuti a conoscenza che, ad adornare queste abitazioni ci pensa il Comune che ogni anno provvede ad acquistare e a sistemare il tutto di tasca propria. Confesso che siamo rimasti meravigliati, non siamo abituati a sentire cose di questo genere.

La "Costarella"Un piccolo, verde arredo urbano sulla soglia di casa completamente gratuito con l’impegno, più piacevole che oneroso, da parte degli abitanti di aggiungere l’acqua nei vasi quando occorre. Questa iniziativa merita un plauso al Sindaco e a tutta la Giunta.

In cima la nostra fatica viene ricompensata dalla piazza dove sorge il bel Palazzo Comunale che fu edificato nel 1773 come residenza estiva dei vescovi di Ancona, poi acquistato dallo Stato nel 1911. Dopo essere stato utilizzato come opificio industriale per la lavorazione di fisarmoniche, nel 1983 diviene nuovamente sede municipale.

Ci spostiamo per andare ad ammirare la fontana costruita con vecchie pietre rinvenute prima del 1663 che fu voluta dai cittadini per dissetare i pellegrini di passaggio. Le sue cinque bocche prendono acqua da un vecchio cunicolo di epoca romana. Situato nella zona panoramica del paesino troviamo la “Torre” che si presenta come un arco avendo perso perso la sua fisionomia originale. E’ considerato quel che rimane della Torre dell’antica parrocchia di San Giovanni ed è molto importante in quanto unico resto medievale della città.

Vale la pena, prima di chiudere il resoconto di questa nostra breve vacanza, di parlare delle varie spiagge che il turista ha a propria disposizione. Grazie alla falesia calcarea del Monte Conero (572 metri sul livello del mare), qui fenomeni geologici di grande entità e l’azione erosiva del mare e del vento hanno modificato e modellato la costa, dando origine a calette, golfi e spiagge dai bianchi ciotoli. Ognuna di queste spiagge ha caratteristiche diverse, ciò che le accomuna è il mare blu cobalto; la più spettacolare, considerata fra le più belle d’Italia, è senz’altro la spiaggia delle Due Sorelle, così chiamata per i due grandi faraglioni posti nel mare e raggiungibile solo in barca.

Riteniamo di poter consigliare una vacanza in questo mare Adriatico dove la costa ha perso le sue caratteristiche di mare chiuso e dalle acque non proprio cristalline per dare il meglio di sé. Occorre tener conto che, esclusa ovviamente la Puglia, si deve partire da Trieste ed arrivare sino ad Ancona per potersi tuffare in acque così invitanti dove da anni sventola la Bandiera Blu Europea, un riconoscimento che viene assegnato ai Comuni che rispondono a specifici requisiti di natura sia turistica che ambientale.

Marina e Luciano

Fuori dai luoghi comuni…prelibatezze alla crema

domenica 30 ottobre 2011

Ed eccoci, finalmente, all’ultima tappa del nostro viaggio.
Crema ci ha sorpresi per la sua vivacità. La giornata era stupenda e nel suo centro cittadino si contavano  gradevolmente più biciclette che auto.

Crema Cortile internoQuesto fenomeno rappresenta un valido termometro per misurare la qualità della vita degli abitanti. Fortunatamente, quello di Crema, non è l’unico caso in Italia in quanto la cultura delle due ruote è diffusa in molte altre città di provincia. Il risultato di certe scelte va, a nostro giudizio, ad incidere in maniera positiva anche sui rapporti interpersonali migliorando così il tessuto sociale.
La piazza principale, cuore del centro storico, è decisamente scenografica anche se abbiamo trovato il duomo “impacchettato” per lavori di abbellimento e restauro sia all’esterno che all’interno. Lo stile è il gotico lombardo e la chiesa  custodisce nella cripta i resti dell’antico duomo romanico distrutto da Federico Barbarossa nel 1160.

Crema Il TorrazzoIncluso nell’edificio del Palazzo Comunale, a sovrastare le altre costruzioni, c’è il Torrazzo. Oggi rappresenta uno dei simboli della città, mentre l’elemento più antico della piazza è la Torre Guelfa, sulla cui facciata fa mostra di sé il Leone di San Marco, emblema della dominazione veneziana cui Crema fu assoggettata dal 1449,fino alla caduta della Serenissima sotto l’espandersi della Rivoluzione Francese, alla fine del XVIII° secolo. Il Palazzo Comunale presenta un’interessante fusione di elementi architettonici lombardi e veneziani dati, questi ultimi, dalle eleganti trifore del piano nobile. A tutto questo si devono aggiungere il Palazzo Pretorio, costruito nel 1548 quale residenza del Podestà e il Palazzo della Notaria, adibito a sede del Collegio dei Notai, dei Giuristi e dei Mercanti. Fu donato al primo vescovo di Crema dalla comunità allorché la città assunse la dignità di diocesi, diventando così l’attuale Palazzo vescovile.
Il Mercato Austroungarico è un monumentale loggiato costruito nel 1842 per celebrare la seconda visita dell’imperatore Francesco I° d’Austria, durante il Regno Lombardo Veneto. Oggi, persa la sua originaria funzione commerciale, contribuisce alla connotazione estetica della piazza. Dal lato occidentale del porticato si può ammirare la chiesa di S. Maria e S. Spirito, gioiello dell’architettura rinascimentale..
Crema Chiostro di Sant'AgostinoCon la costruzione, a partire dal 1439, della chiesa e del convento di S. Agostino, Crema divenne centro di diffusione dell’Osservanza agostiniana in Lombardia: due sono i chiostri, ben conservati, con pilastri ottagonali in cotto. Il refettorio è splendidamente affrescato,in stile rinascimentale, dal pittore camuno Pietro da Cemmo. Al piano superiore la struttura ospita il Museo Civico.
Durante la dominazione veneziana, Crema modificò il suo volto arricchendosi di preziosi palazzi dall’architettura raffinata.

Crema Palazzo BondentiUn esempio è dato dal Palazzo Bondenti Terni De Gregory caratterizzato da una facciata con eleganti modanature in cotto ed arricchito dallo stile rococò in corrispondenza dei portali, finestre, timpani e cornici.
Torniamo alle chiese, numerose e non sempre aperte, per chiudere in bellezza con S. Maria della Croce.
Questa chiesa, fuori dalle mura e distante dal centro storico, gode di una buona posizione in quanto sorge in un’ampia piazza ed è affiancata da un altro edificio. Per il visitatore che si sta avvicinando, l’intero complesso rappresenta un notevole colpo d’occhio che concorre ad accentuare la maestosità della costruzione.
Crema Basilica S. Maria della CroceLa basilica fu edificata tra il 1493 e il 1500 e rappresenta uno dei monumenti più belli ed originali della Lombardia rinascimentale. È  un edificio di chiara influenza bramantesca arricchito da un pregevole apparato decorativo interno che ne aumenta il fascino. Fu progettato dall’architetto Giovanni Battagio: si tratta di un complesso a pianta centrale, circolare all’esterno e ottagonale all’interno.

 Crema S. Maria della Croce con a destra lo ScuroloAl visitatore viene raccomandato scendere nello “Scurolo”, il luogo più caro ai Cremaschi dove sostò anche Giovanni Paolo II°: si racconta che qui si fosse trovata la croce dove apparve Maria, la madre di Gesù, e le vetrate “raccontano” sia l’apparizione che i miracoli accaduti quel 3 maggio. Tutto deve essere fatto risalire al 3 aprile 1490, data in cui Caterina degli Uberti, veniva aggredita e pugnalata proprio dal marito per derubarla dei suoi preziosi. Caterina era andata in sposa tempo prima a Bartolomeo Pederbelli, un pregiudicato comasco giunto a Crema che aveva taciuto il suo passato. Ferita a morte, invocò la Madonna che le apparve, ne fermò l’emorragia dovuta alle ferite e la accompagnò a casa di contadini lì vicino. Il giorno successivo ricevette i sacramenti e, solo dopo, l’emorragia riprese conducendola alla morte. Un mese dopo, il 3 maggio, giorno in cui si celebrava l’esaltazione della santa croce (abolita dal 1970, ma conservata dal rito gallese), un ragazzo, Francesco Marazzi, con gravi problemi di deambulazione fu condotto nel bosco del Novelletto, dove avvenne l’omicidio di Caterina. Qui giunto, pregò e, dopo le preghiere, riprese a camminare. Le cronache riporterebbero che non fu il solo miracolo di quel giorno: se ne conterebbero una quarantina. E i miracoli si riprodussero ancora nei giorni successivi: miracoli e grandi peccatori hanno sempre portato all’edificazione di grandi cattedrali, la costruzione della chiesa fu affidata ad un allievo del Bramante. Dal centro della basilica è possibile ammirare le quattro pale che raffigurano il mistero della vita di Gesù. Uscendo dal lato ovest troviamo le acquasantiere e il fonte battesimale.

Fuori dai luoghi comuni…Prelibatezze alla Crema

domenica 23 ottobre 2011

Prima di riprendere il nostro viaggio vogliamo segnalarvi che proprio ieri sera “Striscia la notizia” ha trasmesso un’intervista al sindaco di Cassinetta di Lugagnano. Potete rivederla, ma soprattutto avrete modo di passeggiare, anche se virtualmente, in questo grazioso Comune italiano.

Il link è il seguente:

http://www.striscialanotizia.mediaset.it/video/videoextra.shtml?13792

E ora, andiamo alla volta di Pandino

Pandino Il CastelloCi ritrasferiamo in campagna per raggiungere Pandino, paese che dista 13 km. da Crema e che vanta il castello visconteo meglio conservato della Lombardia.

L’edificio presenta ancora gran parte delle strutture architettoniche originarie e delle decorazioni pittoriche del XIV° secolo. I signori di Milano scelsero questa località perché era un piccolo villaggio circondato da boschi, ideale per dedicarsi alle amate battute di caccia.

Pandino Iterno del CastelloL’edificio ha pianta quadrata e l’interno si caratterizza per l’ampia corte, circondata al piano terra da porticati con archi acuti e a quello superiore da loggiati con pilastrini quadrati. Originariamente tutte le superfici del castello, anche quelle esterne, erano decorate; oggi si sono conservate solamente quelle all’interno delle sale.

Perse la sua destinazione d’origine nell’Ottocento quando la famiglia d’Adda affittò il castello a contadini che, poco alla volta, lo trasformarono in cascina. Solo nel 1920, quando il Comune lo ricomprò, riacquistò, a mano a mano e con una importante opera di ricupero, la sua antica identità.

Il castello fu costruito nella seconda metà del 1300 per Regina della Scala moglie di Bernabò Visconti, da lui amatissima, per ricordare a lei i paesaggi natii in riva all’Adige. La sua destinazione a palazzo signorile, in quell’epoca non si conosceva altro modo di costruirli, è confermata dalle ampie finestre a bifore destinate più ad usi civili che militari.

Circa cent’anni dopo, gli Sforza che succedettero nel potere ai Visconti, rafforzarono Pandino e potenziarono questo palazzo signorile con torri e fossato, trasformandolo in architettura destinata a fini militari per proteggersi da Venezia.

Ma di Regina della Scala non è rimasta solo questa residenza; a Milano fece costruire una chiesa, Santa Maria della Scala, che col tempo andò distrutta. Sul luogo sorse il teatro di corte che mantenne nel proprio nome il ricordo dell’antica chiesta: il teatro prese il nome di Teatro alla Scala.

Gradella

Gradella TrattoriaLa frazione di Gradella ha conservato il suo aspetto di paese rurale e si fregia di essere uno del Borghi più belli d’Italia. È senz’altro unico nel suo genere in quanto le case coloniche sono state ricuperate e riattate molto bene e, cosa curiosa, sono tutte dipinte in giallo. Questa caratteristica rende ancor più piacevole la visita creando un impatto visivo fuori dal comune. Naturalmente in questo piccolo paese vige l’assoluto divieto di costruire nuove case e la parola d’ordine è, e rimarrà si spera, ricupero. Un rigoroso regolamento edilizio prevede infatti che nella ristrutturazione delle case vengano mantenuti mattoni a vista e lesene, conservando e valorizzando decorazioni, modanature e murature caratteristiche esistenti. I serramenti devono sempre essere realizzati in legno e i manti di copertura in coppi.

Ci troviamo in una zona rurale per eccellenza: intorno a noi solamente la pianura con le sue colorate geometrie. I piccoli corsi d’acqua sono usati per l’irrigazione e su almeno una delle loro sponde corrono cipressi ed altre piante di alto fusto. Siamo in un “piccolo mondo antico”, lontani da traffico, rumori, capannoni industriali e scempi edilizi, villette tutte uguali con il “salice piangente a fare da spazzolino da denti alla cancellata (Guido Ceronetti in Albergo Italia)”.

Gradella Villa MaggiRigorosamente gialla è anche Villa Maggi, legata al nome di Onofrio Maggi, nobile bresciano che nel 1558 acquista i primi terreni e le prime case nel borgo di Gradella. Nel 1944, un piccolo cenno storico,  venne requisita dal Comando Germanico di Cremona e  quindi occupata da Graziani, comandante delle forze armate della Repubblica di Salò.

Gradella Fontanile MoiaPoco distante dall’Osteria degli Amici, ci siamo imbattuti nel Fontanile Moia. Il fontanile dipende essenzialmente dalla struttura geologica e dalla composizione della pianura Padana. Le acque superficiali e meteoriche formano, al termine di un processo naturale, una falda acquifera sotterranea che scorre verso l’asse della pianura stessa. Le argille costringono quindi l’acqua ad affiorare creando delle risorgive che l’uomo ha incanalato in un fittissimo reticolo destinandole all’irrigazione.

Gradella La Cappella del LazzaretoPoco fuori Gradella, in località Corella, vennero sepolti i morti della peste di manzoniana memoria a seguito dell’invasione dei Lanzichenecchi (siamo nel 1630, proprio quando la peste si dimostrò più virulenta, decimando la popolazione). Dopo questo evento venne eretta una cappella a ricordarli e il luogo prese l’attuale nome di Lazzaretto.

Gradella Uno dei dainiUna curiosità: se si passeggia a Gradella, ci si imbatte in un allevamento di daini, passione dell’ultima contessa Maggi, Camilla, che portò qui questi animali: si sono adattati benissimo al nuovo ambiente e vivono tranquillamente tra i bovini e gli equini del paese, accogliendo con i loro sguardi i visitatori che loro si avvicinano.

Nel corso del nostro viaggetto in Lombardia abbiamo avuto l’opportunità di ripassare un po’ la geografia che ai nostri tempi era tenuta in maggior considerazione rispetto ad oggi. Vi ricordate gli affluenti del Po? Noi ne abbiamo visti tre: Ticino, Adda e Oglio.

Soncino

Soncino l'esterno delle muraArriviamo al borgo fortificato di Soncino dalle massicce mura in cotto, rinforzate da torrioni circolari e circondato da un fossato in parte ancora colmo d’acqua.

Soncino Rocca SforzescaLa rocca sforzesca si impone allo sguardo dei visitatori come un complesso difensivo di indubbia importanza, anche se a metà del secolo XVI° iniziò il suo lento declino: lo sviluppo delle tecnologie per uccidere fece sì che perse la sua importanza militare. Il toponimo di questo borgo, inserito tra i più belli d’Italia, pare un derivato aggettivale, col suffisso “inus”, dal fitonimo latino sonchus “cicerbita”, specie d’insalata.

L’attesa è stata un po’ inferiore alle nostre aspettative, tuttavia all’interno delle sue numerose chiese ci sono pregevoli opere d’arte.

Soncino Casa degli Stampatori ebreiMolto interessante è la Casa degli Stampatori Ebrei in stile gotico che viene considerata la sede della stamperia della famiglia ebraica dei “Soncino”; da qui uscirono preziosi incunaboli tra cui, nel 1488, la prima Bibbia ebraica completa. Questa cittadina è considerata una tra le poche sedi di stamperie in Italia ed in Europa.

I “Soncino”, dopo la loro cacciata dalla città, migrarono verso sud fino a raggiungere Costantinopoli, mantenendo nelle loro opere editoriali il nome di Soncino in omaggio alla città che li aveva ospitati dopo la cacciata dalla Germania. Restano comunque preziose testimonianze le stampe del 1494 di una seconda edizione della Bibbia in formato tascabile, che venne usata da Martin Lutero per tradurre l’Antico Testamento dall’ebraico al tedesco e quella delle Opere Volgari del Petrarca nel 1503.

Tra i vari palazzi e chiese che ornano questo borgo, vi segnaliamo la Pieve di S Maria Assunta, sorta nel V° secolo, che dopo vari rimaneggiamenti (da segnalare in particolare quelli architettonici derivanti dal concilio tridentino) fu seriamente danneggiata da un terremoto nel 1802.

Soncino Cupola ottagonale di S. Maria AssuntaRestaurata, fu anche notevolmente ampliata, conservando della vecchia struttura navate, cappelle meridionali e campanile, mentre il muro settentrionale venne rettificato e la facciata riportata al suo presunto aspetto medioevale; la parte absidale fu demolita per realizzarvi un tamburo ottagonale su cui s’imposta la cupola; l’interno è in stile neogotico policromo.

Sulla sinistra troviamo S. Rosalia. Come mai la protettrice di Palermo si trova a Soncino? Dobbiamo tornare ancora una volta alla peste del 1630: infatti l’allora  capitano della rocca, don Antonio Ventimiglia di origine siciliana, chiese al soresinese Gian Giacomo Pasini di dipingere la “santuzza” per impetrare la cessazione del flagello.

Prima di congedarci per l’ultima tappa del viaggio, vi segnaliamo una curiosità: non cercate casa a Soncino, se non … leggetelo sul cartelloCartello "Affittasi"

Marina e Luciano

Riflessioni su …

sabato 22 ottobre 2011

Sabato 29 e domenica 30 ottobre ricordiamo l’appuntamento di due giorni presso la sala Polivalente. Verranno trattati temi etici molto importanti e sono previste manifestazioni artistiche di sicuro interesse.

Maggiori informazioni su

www.tavoladismeraldo.it

Riflessioni-su…-Ed-2011-programma-scientifico1.pdf

Riflessioni-su…-Ed-2011-cartolina.pdf

L’invito è esteso a tutti i cittadini: l’ingresso è gratuito 

L’invito è rivolto anche ai Signori Medici ed Infermieri che vogliono accedere ai crediti formativi ECM e per loro è prevista l’iscrizione con una quota di partecipazione.

Luciano Garombo

Gita a Casale Monferrato e visita al Casale Armanda a Robella d’Asti

sabato 15 ottobre 2011

Domenica 8 ottobre abbiamo partecipato ad una gita organizzata da Terra di Guglielmo che ci ha portato a visitare Casale Monferrato, per quanti già non la conoscessero e al pomeriggio, dopo pranzo,  siamo stati ospiti della famiglia Calvo e degli Amici del passato a Robella d’Asti, al casale Armanda. E’ stata una bellissima giornata, il tempo era splendido e i posti visitati interessanti.

Cominciamo da Casale Monferrato: sorta in epoca ligure con il nome di Vardagate, divenne poi municipium romano. Subì le invasioni longobarde e venne successivamente cristianizzato da San Evasio che ivi costruì una chiesetta dedicata a San Lorenzo. Il santo fu martirizzato attraverso  decapitazione sul sagrato di detta chiesa. Liutprando, re longobardo fece erigere una grande chiesa sulla sua tomba. La chiesa fu consacrata nel 1107 dallo stesso papa Pasquale II. Il borgo prese il nome di Casal di San Evasio e  fu ghibellino per i legami tra il Barbarossa e lo zio Guglielmo Aleramico, marchese nel Monferrato. Distrutto nel 1215 dai vercellesi, alessandrini, milanesi, il borgo fu ricostruito su autorizzazione di Federico II. Nel 1474 grazie all’interesse di Guglielmo VII Paleologo, marchese del Monferrato, nacque la diocesi di Casale e il duomo assurse a sede vescovile. Abbiamo visitato il duomo in stile neoromanico – lombardo. La facciata è asimmetrica e presenta due campanili laterali. E’ suddivisa in cinque navate. Ai lati della chiesa ci sono due statue raffiguranti  il re Liutprando e la regina Teodolinda che avevano voluto la costruzione della chiesa e la cristianizzazione del popolo longobardo. La festa del santo ricorre il  12 novembre. Lo sguardo si posa immediatamente sul bel crocifisso romanico che campeggia nell’altare centrale e risale al XII secolo.  Il duomo sottoposto a restauro in occasione del giubileo, si è presentato ai nostri occhi  in tutto il suo splendore. Belle anche le cappelle laterali e la sacrestia dove sono esposte opere di argenteria e oreficeria appartenute ai vescovi che si sono succeduti nella diocesi e numerosi reliquiari (il piede di Santa Margherita d’Antiochia, la Croce di Anna d’Alençon,, il busto di Sant’Evasio, …)

Ci siamo poi recati alla sinagoga edificata nel 1595 in vicolo Salomone Olper, da  allora l’edificio ha subito diversi restauri e oggi si presenta in tutto il suo splendore barocco rococo’ piemontese (1700 -1 800). L’impatto tra l’esterno, anonimo, imposte dalle leggi di allora e l’interno appare evidente: la ricchezza dei manufatti, le iscrizioni in ebraico, il coro ligneo lasciano i visitatori senza parole.  La Signora Ottolenghi che ci ha accolto ci ha raccontato che al momento sono presenti venti famiglie ebraiche in Casale, contro le 100 all’epoca della seconda guerra mondiale. La comunità ebraica ha pagato un alto prezzo durante la guerra.  Non dispongono di un rabbino, visto il numero esiguo dei fedeli, ma le celebrazioni comunitarie vengono officiate  da un medico ebreo che svolge le funzioni dello stesso rabbino. Ci ha spiegato come nella parte sinistra vengono accolti gli uomini, a capo coperto e le donne nella parte destra. Una volta c’era il matroneo, nella parte alta, da dove le donne potevano assistere alle funzioni con i bambini. Oggi il matroneo ospita uno dei musie d’arte e storia  ebraica più interessanti d’Europa.  Una guida specializzata ci ha accompagnato attraverso le varie sale dove sono esposte le tavole della Torah (le tavole della legge), i paramenti usati dagli anziani, i bracieri, la tavola preparata secondo la tradizione durante la festa della Pesah, la capanna allestita durante la festa dello Sikkut,  e ci ha spieganto i rituali e i significati delle varie feste. Infine abbiamo visitato una sala con i candelabri a nove luci regalati da artisti ebrei e non, usati durante la festa delle luci. E’ stato molto interessante e istruttivo. La seconda domenica di ogni mese si svolgono queste visite guidate, su prenotazione per i gruppi.

Poi, affamati, ci siamo recati a mangiare all’agriturismo “da Nonno Celestino” e come sempre il servizio è stato eccellente, sia qualitativamente che quantitativamente. Il paesaggio poi era fantastico, un susseguirsi di colline verdeggianti, coperte da vigneti luccicanti al sole: una tavolozza piena di colori caldi e luminosi da fare invidia al migliore degli artisti.

Terminato il pranzo ci siamo trasferiti a Robella d’Asti, al casale Armanda, dal nome della nonna di Pierangelo Calvo. Un casale di famiglia adibito a ecomuseo contadino, dove la famiglia Calvo ha raccolto da generazioni attrezzi da lavoro, mobili, vestiti, oggetti della vita comune contadina, ricostruendo con fedeltà e gusto una casa dell’epoca: camera da letto, cucina, cantina, infernotto, con tutti gli utensili necessari per la raccolta e distillazione del vino, attività tipica di quelle colline. E ancora divise dell’epoca, attestati, diplomi, onorificienze, fotografie a ricordare la storia dei suoi antenati. Il nonno aveva vinto nel 1903 un’importante premio a Londra, presentando un vino selezionato di produzione propria , che gli permise di diventare fornitore ufficiale di vini di casa Savoia (lo é tutt’oggi) e di altre case reali. Una bella soddisfazione! Questo casale è immerso in un bellissimo parco, curatissimo, che domina su uno scenario naturale d’eccellenza: l’arco alpino, con il Monviso davanti a noi. Pierangelo, suo fratello, la sua famiglia, i suoi amici sono riusciti a realizzare con sacrifici, tanto lavoro, passione, anni, una straordinaria testimonianza del passato, mantenendo vivo il ricordo di tradizioni, attività, cultura e modi di vita che oggi non esistono più. Sarebbe bello che le scolaresche, i giovani potessero visitare questi luoghi per non perdere la memoria di una parte del nostro recente passato, ma anche le persone anziane perchè potranno ritrovare una parte del loro vissuto, di cui a volte sentono la nostalgia.

I fratelli Calvo davanti al Casale Armanda

La giornata non poteva finire se non in bellezza: tranquillo ritorno a casa, accompagnati da un tramonto infuocato dietro le colline.

Franca.

Fuori dai luoghi comuni, Prelibatezze alla Crema

mercoledì 12 ottobre 2011

Noi ci siamo! ed ecco la prima parte del racconto del nostro viaggio in Lombardia. Quando lo abbiamo scritto ci siamo accorti che era troppo “lungo” ed abbiamo deciso di  pubblicarlo a puntate. Partiamo alla volta di … (e per la descrizione delle foto, spostateci sopra il mouse)

Robecco sul Naviglio

Robecco sul Naviglio

Robecco sul Naviglio

Il nostro viaggetto in Lombardia inizia da Robecco sul Naviglio, piccolo e delizioso paese abbellito da fiori a profusione. C’è un’unica strada che lo attraversa, lungo cui si possono ammirare alcune ville che testimoniano i fasti di un tempo che fu. Una breve passeggiata ci porta dritti al ponte sotto cui scorre, lenta, l’acqua del Naviglio popolata da pesci. L’altra sponda è meno abitata: un bar con gli avventori locali seduti fuori a godersi il sole e possibilità, per noi, di passeggiare lungo il corso d’acqua. L’atmosfera che ci circonda è ovattata; siamo molto lontani dai rumori, immersi in una campagna piatta ma non per questo priva di fascino.

Cassinetta di Lugagnano

A pochi chilometri da qui c’è Cassinetta di Lugagnano, un paese dove non esistono case di nuova costruzione e ci si sposa come a Reno in Nevada: dalle 9 alle 24. Il sindaco ha preso alla lettera l’articolo 9 della nostra Costituzione in cui si prevede che il Primo Cittadino tuteli il patrimonio e il paesaggio. Risultato: in questo Comune di 1.800 abitanti, immerso nel Parco del Ticino, non ci sono né palazzoni né centri commerciali. Invece di costruire ex novo, si ricupera con molto gusto e qualità il “vecchio” frazionando in appartamenti non solo le case del centro storico ma anche le splendide ville settecentesche.

Cassinetta Lugagnana

Cassinetta di Lugagnano

Il Comune ha sopperito con intelligente creatività ai mancati incassi derivanti dagli oneri di urbanizzazione. Ha aumentato, con il consenso di tutta la popolazione, in misura molto modesta l’ICI; ha provveduto, senza privare i cittadini dei servizi, ad una riduzione delle spese, quali a solo titolo di esempio quella indirizzata verso il risparmio energetico. E si è anche inventato proventi per oltre 20.000 €, derivanti dai matrimoni, garantendo a prezzi contenuti cerimonie splendide compresa gita romantica in barca sul Naviglio.

Lodi

Il nostro itinerario prosegue alla volta di Lodi; prima però di entrare nel centro cittadino, diamo un’occhiata a Lodi vecchio dove si trova una piccola e comunque interessante area archeologica con resti dell’epoca romana e medioevale.

L'imponente fabbrica di San Bassiano

Lodi vecchio

Infatti, Lodi, entrata in guerra con Milano, è costretta ad arrendersi e il 24 maggio 1111 viene rasa al suolo. Successivamente, quello che restò ancora in piedi della città, venne distrutto nel 1158. Nello stesso anno, Federico Barbarossa per ribadire il suo potere imperiale rifonda il 3 agosto una nuova Lodi, quella attuale.

Lodi

Lodi

Una delle più belle chiese di Lodi, quella nuova, è senz’altro San Francesco che ha la stessa peculiarità costruttiva di San Bassiano, chiesa di Lodi vecchio; è caratterizzata da bifore a cielo aperto: “Dal vano delle due bifore sorrise il cielo con pupille azzurre”  così Ada Negri, la poetessa delle nostre reminiscenze scolastiche, che è qui sepolta; i suoi resti furono traslati dal Famedio di Milano nel 1976.

Lodi Chiesa di San Francesco

Lodi Chiesa di San Francesco

Vandali ... d'epoca

Vandali ... d'epoca

L’architettura di San Francesco, dalla facciata rimasta incompiuta, è un esempio che si sarebbe ben presto diffuso in tutto il Nord dell’Italia. L’interno, su tre navate, conserva sulle sue colonne una ricca documentazione di affreschi realizzati tra il Trecento ed il Settecento di buona fattura. Troviamo anche testimonianza dell’italica “vocazione” al vandalismo fissata per sempre su un affresco di una delle colonne.

Il Duomo, dedicato alla Vergine Assunta, in stile romanico, è una delle chiese più grandi dell’intera Lombardia; la prima pietra, come simbolo della rinata Lodi, fu posta proprio quel 3 agosto del 1158; caratterizzato da un profilo asimmetrico, si affaccia sulla quadrata piazza della Vittoria con i portici che l’abbracciano per l’intero suo perimetro: tutti gli edifici, pur in stili diversi, offrono un quadro armonico.

Il Broletto

Il Broletto

Proprio dietro al duomo c’è la graziosa piazza Broletto su cui si affaccia il Palazzo del Broletto, antica sede del potere; al centro è collocato l’antico fonte battesimale, ora proprietà del Comune. Peccato che l’insieme sia piuttosto celato da insegne, tende, tavolini, eccetera dei locali che vi prospettano.

A pochi passi c’è il Tempio Civico dell’Incoronata, che da sempre appartiene al Comune di Lodi e non alla diocesi.

Lodi

Lodi

Rappresenta il monumento più prestigioso della città e uno dei massimi capolavori del Rinascimento Lombardo. La struttura e la cupola sono a pianta ottagonale, l’interno è impreziosito da sontuose decorazioni in oro, da affreschi, tavole e tele di epoche quattrocentesca e successive.

Un’ultima curiosità: una canzone goliardica ricorda il personaggio di Fanfulla da Lodi celebrato da Massimo d’Azeglio, insieme ad Ettore Fieramosca, per ricordare la famosa disfida di Barletta; il capitano di ventura è comunque rimasta una figura alla quale i Lodigiani sono tuttora affezionati.

Ripalta Guerina

Ripalta Guerina

Ripalta Guerina

A poca distanza l’uno dall’altra, abbiamo pernottato in un albergo convenzionato con una trattoria che ha preso il nome da un grande direttore d’orchestra italiano e  che raggiungevamo a piedi. In questa minuscola frazione, con un pugno di case coloniche, una piazzetta ed una chiesa, c’è un ristorante che mai pensereste di trovare in un posto così fuori dal mondo. E non è finita, perché al piacere dell’ottima tavola si è aggiunto il resto, vale a dire un locale davvero accogliente, arredato con buon gusto, disseminato di strumenti musicali.

Scena dal Film

Scena dal Film

Alle pareti ritratti del direttore d’orchestra Arturo Toscanini, del maestro Giuseppe Verdi e, proprio sotto il bussetano, quello di una giovanissima Lucia Bosé a testimoniare che a Ripalta Guerina hanno girato anche un film, Gli sbandati, nell’ormai lontano 1955.

Le serate si sono “allungate” fino altre la mezzanotte, immersi, com’eravamo in piacevoli conversazioni, inframezzate da stacchi musicali, in compagnia del proprietario, grande anfitrione, e di altri ospiti. Vale davvero la pena segnalarlo: se qualcuno si trova da queste parti, la Trattoria Toscanini è un ottimo riferimento.

Arrivederci alla seconda puntata a …
Marina e Luciano

Terre di mezzo: ultima puntata

mercoledì 13 luglio 2011

Ed eccoci, come promesso, alla seconda “puntata”. Marina alla fine è riuscita a liberarsi e siamo partiti alla volta di località un po’ diverse da quelle precedenti. La prima è …

Scarzuola

Scarzuola IngressoAnche Scarzuola ha i suoi natali illustri: si narra che in questo luogo Francesco d’Assisi nel 1218 costruì una capanna con la scarza, una pianta palustre; in un secondo tempo fondò un convento; piantati una rosa e un alloro, sgorgò una fontana verso cui, ancor oggi, viene prestata molta devozione.

I fatti, quelli accertati, riportano oltre alle narrazioni tradizionali, che nel 1282 Nerio di Bulgaruccio, Conte di Montegiove, per celebrare il leggendario passaggio di Francesco d’Assisi, fece costruire una chiesa con oratorio, laddove sarebbe sorta la capanna. L’edificio fu affidato in custodia ai Frati Minori, che lo consacrarono alla SS. Annunziata, e vicino alla chiesa fu eretto il convento della Scarzuola. Abbandonato dai frati verso la fine del 1700, ne presero possesso i Marchesi Misciattelli di Orvieto. In seguito, nel 1956, il complesso fu rilevato dall’architetto Tommaso Buzzi. Nell’abside della chiesa è stato scoperto nel 1996, e riportato alla luce, un affresco della prima metà del XIII secolo, indicato dagli storici dell’arte come uno dei primi ritratti raffigurante San Francesco in levitazione.

L’obiettivo dell’acquisto del complesso conventuale da parte di Tommaso Buzzi era quello di costruire la sua “città ideale”. Dapprima ricuperò il convento, successivamente trasformò gli orti dei frati in un fantastico impianto verde ove, tra siepi di bosso, fiori rari, statue e pergolati, si rievoca il mito d’amore tra Polifilo e la sua ninfa. Questo primo progetto, nell’intenzione buzziana, completava la “città sacra”. Successivamente passò ad edificare, al termine del giardino, la “città profana”, che chiamerà “La Buzziana”, affacciata su un vasto anfiteatro naturale.

Città Buzziana ParticolareLa Buzziana appare proprio una città profana, sovraccarica com’è di riferimenti e citazioni: ovunque vi sono impressi motti, monogrammi e simboli non immediatamente decifrabili. Concepita in base ad un personalissimo neo-manierismo, la cittadella presenta forme sconcertanti e complesse: vi abbondano scalinate e scalette, bassorilievi di mostri, statuine, figure fitomorfe senza alcun richiamo all’architettura. Fabbricati e monumenti quasi si sovrappongono senza soluzione di continuità: strutture circolari come osservatori astronomici arabeggianti, templi di culti pagani con la torre di cristallo che ricorda, invece, più il pinnacolo di una cattedrale gotica.

Tommaso Buzzi, alla sua morte avvenuta nell’80, lascia incompiuta la sua creazione di pietra, ma la Buzziana non scompare e oggi, quasi interamente compiuta, si presenta all’uomo del Terzo Millennio come una concezione interrogativa per lo spirito. Abbiamo però scoperto che la visita deve essere prenotata e quindi ci siamo limitati a percorrerne un lato intravvedendo solo una minima parte delle strutture.

Corciano

Corciano Il CastelloIl borgo si trova a pochi chilometri da Perugia, e prospetta agli appassionati della natura viste di profondo interesse; fu costruito sulla cima di una piccola altura, ed appare contornato dalla imponente mole del distante Monte Amiata e del Monte Acuto. La nascita del borgo di Corciano viene fatta risalire all’epoca etrusca, anche se l’origine è da ricercare nel nome proprio latino Curtius (o Coricius o ancora Corisius), proprietario di un fondo rustico; tuttavia la tradizione popolare vuole, invece, che Corciano significhi Cuore di Giano o piuttosto Colle di Giano; ma, come sempre accade per ogni borgo italiano che si rispetti, occorre avere i natali da un antenato illustre, magari preso a prestito dalla mitologia.

Secondo un’antica leggenda, infatti, Corciano è sorta per opera di Coragino, mitico compagno dell’eroe Ulisse; e, sempre secondo la leggenda, lo stemma del Comune, uno scudo inquartato di rosso e argento, fu donato al paese da Orlando, paladino di Francia, dopo aver vinto a duello il corcianese Cornaletto.

Corciano ParticolareE’ solo il borgo che può raccontarsi, con il suo intreccio di vicoli e strette scalinate, con il colore delle sue pietre, con i segni leggibili della sua storia: semplicemente un manufatto armonioso e conservato nel suo antico splendore ed integrità.

Dominato dalla imponente mole del suo castello antico, circondata da un ambiente del tutto unico e particolare, è certamente degno di essere vissuto ed apprezzato in tutta la sua bellezza.

Ritroviamo, protette tra i vicoli della sezione storica della città, le architetture antiche: la Chiesa di Sant’Agostino, edificata nel XIV secolo, la Chiesa di Santa Maria Assunta, splendido edificio medievale, la Chiesa di San Francesco, la cui costruzione risale al XIII secolo, e la Chiesa di San Pietro di Taverne, appena fuori dall’abitato. Edificato nei territori del nord dell’Umbria, Corciano rappresenta una delle zone di maggiore bellezza del centro Italia, mostrandosi come un piccolo scrigno di arte antica e di pregevoli realizzazioni, conservando la capacità di unire e mescolare le straordinarie attrattive del mondo naturale a quelle artistiche.

Tuoro

Hannibal, Hamilcaris filius, Carthaginiensis

Lago Trasimeno Il luogo della battagliaA Cornelio Nepote bastano solamente queste quattro parole, sintetiche, categoriche, rigorose; sono quattro colpi di scalpello e mazzuolo che dal masso di pietra sanno sprigionare tutta la possanza del personaggio, per presentarci il più grande avversario di Roma: non ho  trovato in nessun altra occasione una presentazione tanto essenziale e laconica quanto più efficace di questa.

Il personaggio viene calato subito, all’inizio del testo, quasi a sigillare ogni possibile commento da parte del lettore. Questa presentazione me la sono trascinata per anni nella memoria, fin dal tempi della seconda media ed ero curioso nel verificare quali luoghi avevano ancora memoria di lui. E così siamo diretti a Tuoro, dove avvenne la battaglia del Trasimeno (e il rispetto per l’intelligenza militare di cotanto nemico di Roma ci ha indotto anche a cercare su Wikipedia una possibile ricostruzione della stessa ).

BattagliaAll’alba del 24 Giugno del 217 a. C., sotto una fitta coltre di nebbia, la maggior parte dell’esercito romano entrò nella pianura a Nord del Lago Trasimeno dalla stretta via che correva ad occidente tra le pendici dei colli e le acque. Annibale aveva posto la cavalleria e i Celti ad Ovest, a guardia dell’ingresso della valle. I Libici e gli Ispanici li aveva collocati al centro, dov’era il suo accampamento, presso il colle su cui oggi è situato l’abitato di Tuoro. I frombolieri delle Baleari e gli altri armati alla leggera li aveva schierati su un largo fronte nel lato orientale della trappola per chiuderne l’uscita. Quando il generale cartaginese diede l’ordine di attacco, le legioni romane furono spezzate in due dalla cavalleria e dai Galli. La retroguardia trovò scampo nella fuga, mentre gli altri legionari, inferiori di numero, attaccati in ordine di marcia, furono in breve sopraffatti.

La battaglia si concluse dopo tre ore. Circa 15.000 Romani vi trovarono la morte: i più perirono per mano nemica, alcuni, si racconta, si uccisero l’un l’altro per non cadere prigionieri, altri affogarono nelle acque del lago. In realtà i 6.000 che componevano l’avanguardia riuscirono ad aprirsi un varco ad Est, ma il giorno successivo furono fatti prigionieri.

Tuttavia ultimamente gli storici stanno modificando questa versione, soprattutto per quanto riguarda la locazione della battaglia e le dimensioni del lago (più largo, più piccolo); comunque siano andate le cose, per Roma fu una sonora sconfitta in ogni caso. È il caso di ricordare che esiste un Centro permanente di documentazione della battaglia e un museo storico a cielo aperto degli avvenimenti militari.

Monteriggioni

Monteriggioni Locandina dall'altoA 15 km da Siena, in direzione Nord, polarizza la nostra curiosità una fortificazione spavalda e dominante che trasuda potenza militare da ogni sua pietra. Monteriggioni è un antico borgo fortificato; a poche decine d’anni dalla sua fondazione, nel pieno del suo splendore doveva davvero apparire grandiosa e incutere un senso di ciclopica maestà per la sua forma circolare con le sue torri che, come una corona, si elevavano sulle mura tanto da indurre Dante, per definire l’aspetto degli smisurati giganti infissi nella voragine di Malebolge, ad avvalersene come riferimento (canto XXXI dell’Inferno: “…Monteriggion di torri si corona..”).

Costruito dai senesi nel 1200,  fu spesso teatro e motivo di scontro tra Siena e Firenze. La foto del manifesto a lato visualizza dall’alto il complesso fortificato noto per la sua inespugnabilità. Il Castello di Monteriggioni con le sue 14 torri alte sulle mura è stato per secoli una delle più importanti sentinelle delle terre di Siena.

Monteriggioni La ChiesaPosto in posizione strategica, lungo l’asse della via Francigena, principale via di comunicazione e di commercio tra l’Italia e la Francia, Monteriggioni resta un magnifico esempio di “terra murata” che proteggeva gli abitanti del piccolo borgo agricolo; per maggior difesa, era circondata da una “carbonaia” cui, in caso di attacco, veniva appiccato il fuoco.

Lungo la cinta muraria, rimasta quasi intatta, si aprono la Porta Franca in direzione di Siena e Porta San Giovanni verso Firenze. Tutto del pittoresco villaggio, ancora abitato, è rimasto immutato: le botteghe conservano l’antico aspetto medievale.

Monteriggioni Le torriLe mura, che sovrastano una dolce collina di vigneti e oliveti, racchiudono gelosamente al loro interno un angolo di Medioevo. Il nucleo urbano si compone di piccole case e di una piazza centrale dove si affaccia la Pieve di Santa Maria Assunta. Le torri, dopo che Monteriggioni perse il suo ruolo militare durante i secoli successivi, vennero abbattute dagli abitanti, forse per riutilizzare i mattoni per altre opere, o per evitare, come si racconta, che queste, ormai diroccate, cadessero pezzo per pezzo sulla testa dei contadini impegnati a coltivare gli orti all’interno delle mura. Oggi sono state ricostruite e munite anche di comodi camminamenti che permettono a noi turisti di ammirare lo scenario del paesaggio circostante.

Monteriggioni TorreSi favoleggia di cunicoli sotterranei e passaggi segreti che metterebbero in comunicazione il castello con alcuni fortilizi della zona, persino con Siena, di tesori nascosti e  mai ritrovati, con segreti e segrete. Fra storia e leggenda, si racconta che Monteriggioni cadde in mani fiorentine solo a seguito del tradimento del suo Capitano, il fantasma del quale di notte si aggirerebbe fra le mura con scalpitii di cavalli e lamenti provenienti dai vicoli del paese.

Oltre alle curiosità, vogliamo darVi anche i numeri di Monteriggioni: cinta muraria: 570 metri, spessore delle mura: 2 metri, torri: 15 (oggi ne sono visibili 11) di misure 6x4x15 metri, abitanti oggi: 42, turisti: 70.000 ogni anno (tra i quali, oltre a noi due, anche Mr Tony Blair e Mr Ted Kennedy).

A presto

Marina e Luciano